Francesco Mauro
PLATONE
Filosofia , Menzogna
e
Matematica
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Filosofare insieme nella società dello spettacolo
con la scrittura spettacolare e teatralizzante del “Teeteto”.
PREFAZIONE
1.Platone ed il bisogno di filosofia oggi, nella società della spettacolarizzazione diffusa e spinta, dove la stessa Menzogna fa spettacolo.
C’è veramente ancora bisogno [i] della filosofia oggi?
Se la filosofia non è morta (2) , perché dovremmo filosofare insieme nella vita comunicante della città?
Perché dovremmo farlo in quella città, dove la “cattiveria del giorno” (3) è l’ora in cui la voglia sfrenata e depravata di una minoranza di ricchi affama i popoli, distrugge la coesione sociale, che regge gli Stati nazionali e le loro costituzioni, e pretende far passare la sistematica ed organizzata violenza dei poteri finanziari da immane e globale fatto a presunta legge ineluttabile della storia, della vita presente e futura degli uomini (4) ?
E se questo non è un falso bisogno, come esso interagisce positivamente con la richiesta, sempre più emergente ed insistente, di un rinnovato incontro tra filosofia e vita morale, tra filosofia e teologia politica, nel suo rapporto con il mondo della vita religiosa e dentro il progetto di una rifondazione comunitaria di un universale spirito costituzionale ? (5 )
E perché , in questo stato travagliato del mondo, la filosofia non può non interessarsi dell’arte, così come non può non guardare verso le scienze e le tecniche ?
Perché deve rimettere al centro la domanda sull’essere , sulla realtà, su l’uomo ed il suo destino ? Come può e deve farlo ? (6)
Questo libro cerca di comprendere innanzitutto il senso di queste domande, tornando all’antico, al meglio della civiltà e delle culture del Mediterraneo, di cui è figlia la complessa e poliedrica visione culturale che sorregge il Platone matematico e , più precisamente, il Platone metamatematico, il Platone del Teeteto (7)
E se possiamo dire che queste stesse interrogazioni già ci introducono nello spirito di fondo della sua filosofia , nondimeno in questo inizio dobbiamo riconoscere che rimane a sfidarci un ineludibile problema preliminare : come si accede ai ‘luoghi ‘ testuali dove ‘stanno’ i pensieri di Platone ?
Vi dobbiamo accedere secondo quella via che è il paradigma funzionale che cerca un Platone, autore, come tanti altri dopo di lui, di dottrine e di discipline filosofiche ?
Dobbiamo farci guidare, per imboccare questa entrata, dalla presupposizione diffusa, secondo la quale i suoi pensieri devono essere riconosciuti . applicando ai suoi testi il modello che vede nei suoi dialoghi la imitazione della comunicazione propria di individui vivi e del colloquio filosofico ?
Dobbiamo guardare i suoi libri guidati solo dalla prospettiva di un Platone che, ,attraverso la sua prosa d’arte drammatizzante, intende formare ed educare il suo lettore ed il suo pubblico di esperti , di aspiranti accademic, a saper parlare bene dei valori etici e politci ,poetici e logici, ontologici e teologici ?
O, invece, bisogna leggere i suoi testi sul presupposto che egli non abbia un grande disegno e ‘propri pensieri conclusivi, definiti e tendenzialmente sistematici’; e,pertanto, dobbiamo ammettere che i suoi discorsi introduttivi e psicagogici mirano prevalentemente, con la loro ambiguità radicalmente indecidibile, a stimolare e provocare i suoi destinatari, perché a loro volta questi ‘facciano autonomamente filosofia , senza più Platone e magari contro di lui ?
Pur tenendo massimamente in conto questi differenti modi di accesso, cioè questi diversi modelli ermeneutici, considerati nell’essenziale dei loro risultati, per questa entrata qui si tenta una “nuova via” , con un occhio fisso sull’oggi. (8 ).
Qual è, dunque, questa strada in cui è necessario inoltrarsi per cercare con Platone ed in Platone una risposta alle domande : chi è il filosofo ? Quale è l’utilità della filosofia ?
In Repubblica e nel Sofista egli parla del filosofo come di chi ormai non si sa che cosa sia ed a che cosa serva.
Non è forse il filososo un individuo che assomiglia a quel sofista che è un illusionista, un giocoliere e truccatore di discorsi, molto spesso a servizio del politico potente di turno , mentitore-ingannatore , truffaldino, seduttore del popolo, e per tutto ciò inaffidabile e pericoloso per il buon governo della città ?
Come spiegare ,poi, che alcuni lo considerano un pazzo con la testa tra le nuvole ed altri un uomo che cerca di somigliare al divino ed altri ancora,invece, come un cane che abbaia invano ? (9)
Spinto da queste ulteriori domande , mi sono deciso a rispondere all’appello di quello spirito antico e, pertanto, a fare, partendo dall ‘oggi , un passo indietro (10) verso di lui, verso quella mente , coloratissima e di eccezionale potere plastico, che ha fondato la filosofia in un grandioso lavoro di rifondazione/ kataoikesis di essa (11).
E si deve tornare verso il Platone dei suo scritti, di tutti i suoi scritti; ognuno di essi ripreso nella sua integrità testuale , nella sua omogeneità di piano funzionale-costruttivo, nella sua unità problematico-tematica , e ciascuno riconosciuto in sé ed in riferimento a ‘tutto Platone’; e, dunque, anche tenendo conto del cosiddetto ‘Platone orale’. (12)
Guardando al passato da queste domande, che non possono che nascere nel presente della mente di lettori vivi di una comunità viva e sono alimentate dal dramma della loro vita, con questa indagine, propongo di osare un nuovo o , almeno , un altro inizio anche nel modo stesso di intendere e praticare la filosofia; a questo scopo consiglio al lettore interessato lo stesso Platone come ispiratore e guida di questa rischiosa ed impegnativa avventura culturale e teorica..
E si deve subito tenere conto che essa, già in e per Platone, è impossibile senza una preliminare presa di posizione e scelta , che si manifestano come decisioni di moralità che investono lo stesso discorso pubblico, di cui quello filosofico è una peculiare modalità..
Certo anche Platone è figlio del suo tempo e del linguaggio del suo tempo ( 13); ma rispettarlo nella sua originale , determinata , diversa situazione storico-culturale, nello spazio linguistico e letterario, differente e proprio dell’antica Grecia , è una precauzione di partenza che è anche un indispensabile punto di appoggio per riscoprirlo e rilanciarlo nella sua attualità. (14)
2.Come si ‘entra’ nei luoghi testuali dove stanno i pensieri di Platone.
In medias res, ‘’ in mezzo al fiume’ : qual è l’inizio che attiva i discorsi scritti in cui si rappresenta e si fissa la filosofia di Platone ?
Questo inizio è quello di un esercizio/ghymnasia (15) di discorsi /logoi (16) sulle “Cose Massime” /ta megista (17),.
Esso è così una pratica di ragione e di linguaggio pubblici, cioè generatori di messaggi di interesse generale ed accadenti nella vita comunicante della città .
Questo inizio è provocato da una ripetuta esperienza di impatto, insieme doloroso e sconcertante, con ciò che appare terribile e stranamente. fascinoso: l’’affermarsi travolgente di una devastante visione dello stare e del vivere in città.
Questo fenomeno di massa , che infetta il ceto dei “belli e buoni” ed il demo, la massa dei cittadini meno abbienti,(18) e che dovrebbe produrre disgusto ed è ,invece, esaltato come ‘vera e moderna sapienza’, sta per Platone alla base dell’agonia e del tramonto delle Poleis, delle Città-Stato dell’ Ellade e del loro comune mondo di valori etici-politici-educativi.
La fonte viva , l’idea-madre, che è investita da questa ‘energia cattiva e distruttiva/kakourghein (19) è una ‘trinità’ :
1) il principio di Costituzione/Politeia , dell’EssereCittà ;
2) l’ idea-forma di Leggi/Nomoi., di Armonia Normativa;
3) lo spirito di Virtù Politeica /Aretè. , cioè di adesione , in una scelta scelta convinta ed intelligene/ phronesis, ai valori del coraggio, della temperanza, della amicizia della giustizia. (20).
Questa crisi radicale della vita, della intelligenza/phronesis e spirito/nous costituzionali (21), -che attraversa tutti gli ambiti della vita cittadina, della sua sfera pubblica e privata, e che si estende alla stessa concezione del sacro-santo-, non è solo un iniziale presupposto di fatto, che come tale è largamente noto e generalmente riconosciuto dagli studiosi come caratteristica di fondo delle vicende della Grecia del V e IV secolo dell’era precristiana ; e che, ad esempio, Luciano Canfora così mette a fuoco :
“ (…) Impero ,dunque, e democrazia procedono insieme : è l’impero, che consente la condivisione, da parte del demo, di sostanziali benefici materiali.
Il popolo - deplora Platone- ha ormai bevuto <vino non mescolato> ( Repubblica, 562 c-d) e perciò ormai scatenato e senza freni “ azzanna l’Eubea e si avventa sulle isole” secondo la dura denuncia di un comico che potrebbe essere Telecide… La democrazia funziona perché “ si spartisca il bottino, cioè le entrate imperiali.
Finito l’impero i conflitti sociali diventono endemici e si profila all’orizzonte – nelle scuole di filosofia non meno che sulla scena teatrale – l’utopia sociale.
A ben vedere tutta l’opera di Platone, là dove affronta direttamente il problema politico ( la Repubblica è il documento più grande ma non certo l’unico) , presuppome che l’impero non c’è più e che il conflitto sociale non conosce soste e raggiunge vertici di asprezza : donde la necessità di trovare una soluzione totalmente nuova, più profonda, del problema politico, che si intreccia indissolubilmente con la conflittualità sociale..” (22).
Questo sfondo storico noto ,dunque, non deve essere considerato uno scenario esterno. aggregato e semplicemente giustapposto al modo in cui Platone poi concepisce, dà alla luce e plasma la sua originale filosofia. scritta.
Per Platone,infatti, la stessa ragion d’essere della filosofia , nella città che si caratterizza per lo spettacolo della fioritura di molte e varie Technai/Scienze-Tecniche (23) in gara tra loro per il primato culturale ed educativo, dipende dalla sua decisione e capacità di voler e sapere pensare rigorosamente e dire fedelmente, con efficacia, l’essenziale che ci permette di illuminare quanto è effettivamente in gioco in questo fatto immane, nell’avanzare e l’estendersi di un abissale catastrofe spirituale, che investe il modo di sentire e vedere la vita della città e tra le città.
La manifestazione socio-culturale, più rivelativa di questo diffuso, distorto e devastante sentire, consiste nell’imporsi con successo di ciò che possiamo chiamare la religione del dominio/pleonessia, con il suo corrispondente ideale di educazione/paideia alla vita personale, familiare, sociale, politica, ispirato dalla conquista del successo, della fama, della gloria, della ricchezza.
Decidersi a pensare fino in fondo, fin nelle sue radici e nelle sue interne e segrete pulsioni e motivazioni, le voglie ed il culto di pleonessia. , della libido dominandi (24), per Platone significa innanzitutto mettersi alla ricerca dei ‘luoghi’ e delle ‘pratiche’ dove questo modo di pensare e di agire appare, si mostra; dove esso si fa vedere , percepire e sentire com immediatezza, investendo e coivolgendo le anime dei cittadini.
Il territorio, dunque, dove la filosofia deve entrare , se essa vuole essere fedele al suo scopo metodico ed alla sua destinazione finale, alla sua vocazione e missione, è deciso funzionalmente da queste forze che puntano ad incidere sulla sensibilità e mentalità di ogni singolo cittadino , affinchè aderisca al ‘sogno’ di una vita migliore ed addirittura ad una presunta “felicità”/eudamonia(25), seguendo le strade della pratica sopraffattrice e violenta dei rapporti sociali, dell’arricchimento a danno degli altri, del consumo sfrenato dei privilegi di casta e di corporazione e dei connessi piaceri, del culto del personalismo tirannico e delle oligarchie dispotiche assetate di potere.
3.Che cosa sono discorsi filosofici scritti di Platone.
Di che cosa è fatto allora questo territorio, che la filosofia deve accettare come terreno di sfida imposto dai “nuovi”, ‘moderni’, “intellettuali’/sophoi (26), cultori e predicatori della Pleonessia come vera ed autentica sapienza/sophia del Bios Politikòs/vita idella città ?
Esso è fatto appunto di discorsi/logoi di ed in conunic-Azione, cioè ‘fatti agire sulla comunità ’ come ciò che deve impressionare, colpire, attrarre con immediatezza ed e con forza di trascinamento emotivo , l’interesse e l’attenzione del pubblico dei cittadini e di quelli che vogliono essere le loro guide educative,religiose e politiche.
Questi logoi ,perciò, sono escogitati e confezionati come ‘discorsi emozionanti’, ‘appassionanti’,allettanti, che attraggono e trascinano i destinatari ad aderire ed ad assimilare il messaggio per queste vie trasmesso.
Essi, quindi, vengono immaginati ed allestiti con quei modi, espedienti ed ingredienti che il pubblico gusta e gradisce di più; e tali sono quelli del raccontare mitologico, spettacolarizzato e teatralizzato, e,quindi, imbastito anche di processi comunicativi non verbali..
Per questa loro natura di logoi ad effetto spettacolare, questi discorsi si presentato in una veste che assume come suo elemento essenziale, costitutivo-funzionale, ciò che il modo epistemico-tecnico di parlare e scrivere non potrebbe mai ammettere : l’uso di apparati favolistici e metaforici e di un linguaggio ambiguo ed infarcito di allusioni e di enigmi, dove lo stesso argomentare si fa forza di trucchi logici e della polisemia dei termini., di contesti comunicativi corroborati dall’elemento magico.
I logoi che la dialogica platonica va ad incontrare e con i quali va a scontrarsi nella vita comunicante della città sono, dunque, tutt’altro che discorsi ‘chiari e distinti’, e tanto meno , puri, privi di favole e di effetti retorici. E sotto altro aspetto essi non sono neppure in via diretta i logoi delle ‘dottrine di Parmenide, di Eraclito, di Pitagora, di Socrate’ che egli avrebbe ripreso e ‘superato’ in una altra e più alta dottrina. (27) ,
La loro connotazione a più immediato impatto ,invece, è il loro apparire-agire con effetti di kolakeia, cioè di lusinga-illusione (28).
I luoghi ed i tempi propri di questi logoi sono soprattutto quelli del teatro, delle assemblee politiche, dei tribunali; per darne in breve una abbozzo seguo ancora L. Canfora:
“ Il luogo ‘classico’ della corruzione democratica è in Atene il tribunale, Del resto il tribunale ha, nella società ateniese del V e IV secolo, ha una centralità pari e forse superiore a quella della assemblea e del teatro (…) Perciò Aristofane dedica tanta pare delle sue commedie alla satira per la mania ateniese dei tribunali” (29)
Questa caratteristica funzionale del bersaglio della fondamentale e ricorrente ‘polemica’ platonica viene così a condizionare ed ad identificare e qualificare il piano cognitivo-immaginativo-linguistico in cui essa stessa si muove.
Questa condizionamento funzionale identifica e qualifica la situazione iniziale , nella quale viene a trovarsi la decisione platonica di inseguire e mettersi alla caccia dei logoi, con i quali la nuova e presunta superiore sapienza agisce sulle coscienze dei cittadini, è ,pertanto, il presupposto specifico. storico-culturale, che un lettore dei testi platonici non può ignorare , se vuole effettivamente entrare nella sua filosofia.
Ed ,invece, è proprio questa regola fondamentale di accesso è violata da tutti i platonismi , da tutti gli antiplatonismi, cioè da tutte quelle intepretazioni ed usi degli scritti platonici che in modo dottrinario, accademico, vanno in cerca dei pensieri del loro autore.
Riservandomi di approfondire successivamente e via facendo questo problema preliminare e fondamentale per la comprensione di ciò che effettivamente ha fatto , pensato e detto Platone con la sua testualizzazione,-anche i riferimento al cosiddetto “iperplatonismo polimorfo”ed al suo “disordine ordinato”- (30), ora raccomando al lettore di ripensare una parola centrale che egli certamente già sa : quella di |dialettizare|dialeghesthai e , connessa ad essa, quella di |dialogo|.
4.Che significa nella sua radice la parola|dialogo| : una nuova ‘Odissea’.
L ’avventura ‘dialettica ‘ di Platone deve essere letta e riconosciuta come ‘ Odissea Dìà/logica ‘ (31): questo è il primo passo da fare per una adeguata introduzione alla forma propria della sua testualizzazione; una forma che è un passaggio obbligato per giungere lì dove stanno i suoi pensieri. (32)
Dunque, considero questa forma di composizione e esposizione non come bella cornice ed una luccicante ed interessante superficie decorativa, che non servirebbe, però, a farci accedere all’essenza teorica dell’idea platonica di filosofia .
E scrivendo in questo modo, cioè disgiunto in due parti, il termine |Dià/logica|, che richiama immediatamente quei testi , che la tradizione ha consacrato con la parola | dialoghi |, intendo mettere subito in evidenza un aspetto centrale, ma poco meditato, nelle sue implicazioni concettuali, della portata semantica del prefisso |dià|.
Tra i diversi significati nella lingua greca della preposizione |dià| l’attenzione e lo sforzo di riflessione devono essere diretti sul significato di |dià| come |attraverso|(33)
E, pertanto, |dialogos|, |dialeghesthai, nel contesto platonico, sono entrambe parole che ci devono fare pensare ed immaginare ad un | attraversamento dei discorsi a mezzo di un altro peculiare modo di discorso|.
Lo stesso Platone ci offre una metafora viva di questa idea, che è alla base della sua concezione della filosofia nella misura in cui essa è appunto considerata nella sua identità ed originalità di discorso, quando ,ad esempio, in Repubblica (34) nel Fedone e nel Parmenide, chiama in aiuto l’esperienza della navigazione in mare , e nel Teeteto quella di un guado a nuoto di un fiume.
La filosofia così. nel Parmenide, è immaginata come navigazione in un vasto mare di logoi, e nel Fedone come “seconda navigazione”, cioè quella che non potendosi più avvalere della spinta del vento sulle vele, deve mettere in azione i remi e mettere all’opera i rematori ; e, che , quindi, è la più faticosa.; come faticosa è la vita in città. in cui i discorsi sulle cose massime accadono :
“ In questioni simili giungere ad una conoscenza chiara nella vita presente è impossibile ed estremamente difficile, tuttavia non sottopore a critica in ogni modo ciò che si dice su di esse e ritirarsi, prima di essersi esauti in un esame completo, è da uomo troppo debole.
In tali questioni bisogna perseguire una di queste alternative : o apprendere da altri come stanno le cose o trovarlo da soli o , se ciò è impossibile, assumere il migliore ed il meno confutabile dei discorsi umani, e imbarcati su di essi come su una zattera, correre il rischio di fare la traversata della vita, se non si può fare il viaggio come maggior sicurezza e minor pericolo su una nave più solida, cioè su un discorso divino”.
Così metaforizzati , questi logoi/discorsi ci mettono sotto gli occhi le immagini di cose liquide, è , perciò, di cose in sé instabili, cangianti e sfuggenti, come è proprio delle onde , dei flussi, delle correnti.
A questo ambiente acquatico , mobile, fluttuante e popolato di ‘esseri guizzanti e non facilmente catturabili, Platone fa riferimento anche nel Sofista, quando imposta l’analisi del rapporto sofista-filosofo con una costruzione analitica che mette in gioco le metafore del pescatore e del cacciatore. (35) .
5.A quale sfida in generale è chiamata la filosofia.
Il dis-corso ‘secondo’, cioè quello della filosofia in quanto dis-correre su i discorsi, ha, pertanto, di fronte a sé come primo problema quello di doversi sapere conformare a questa caratteristica di liquidità del suo habitat, che non è un ambiente di cose-oggetti ma di attività, processi impregnati di quella esperienza umana che è il linguaggio e la comunicazione. E questa sua natura lo espone ad una sfida ed a rischi.
Per questa sfida, la filosofia, se vuol mostrare che è capace di attraversare questo mare senza affondare e di diventare preda di ‘Sirene’ e pasto di ‘Mostri marini, deve dotarsi di una bussola, di un metodo e di uno strumento che siano alla altezza dell’utilità che devono rendere e sappiano fronteggiare logoi/discorsi ‘continuamente in moto’.
Se ad una condotta cognitivo-linguistica di tipo metodico è essenziale l’idea di regola – Platone già nell’ Eutifrone parlerà di un parametro,il |paradigma|paradeigma - (36), allora dobbiamo pensare fin da ora quel medesimo- costante , che il parametrare prevede e pratica, come invarianza intrinseca ad una determinata attività.
La filosofia, quindi, non può aver paura della realtà come processo, perché essa stessa non si realizza nell’ordine cognitivo, immaginativo e linguistico che le è proprio, come se avesse in orrore programmaticamente la kinesis/ movimento , la metabolè/trasformazione, la mexis/combinazione (37), fuggendo conseguentemente e separandosi da esse nel mondo del fisso e del puro , abitando l’ assoluto immobile, l’ inerte immodificabile.
Questa visione della idea –abitualmente attribuita a Platone- , come realtà separata, come l’ in sé di un ente-oggetto ideale, in virtù della cosiddetta dottrina dei due mondi(38), è per Platone stesso solo una finta purezza e apparente semplicità; vista come tale, essa è il risultato di una evasione pseudo-trascendente ed un abuso dell ’astrazione, che la filosofia non si può permettere, se vuole essere fedele alla sua vocazione e missione, che sono inconcepibili senza e fuori la vita, il Bios, della città, della Polis.
Perciò, quel modo di discorso che la filosofia è, si dà come processo accadente nell’interesse e per gli scopi del Bios-Politico, di una vita comunicante e di una comunicazione viva della città, dove i logoi si danno in performance, ‘ in azione’ ed in contesti energetici, dove opera anche una energia cattiva, un kakourghein intriso di kolakeia/effetti lusinganti-illudenti, seduttori-fantomatici.
Questo preteso e presunto confinamento nell ‘immobile , poi, non rende conto della intima parentela del mondo mentale e linguistico della filosofia con l’ essere stesso che – come è scritto anche nel Sofista (39) è Dynamis/Attività; per cui la coppia Agire/Patire le è consustanziale.
Di qui anche la sua prossimità al fare musica, cioè a quel saper mettere in forma , in una invarianza di struttura, una succesione di suoni, di moti ritmici , di variazioni., di cadenze armoniche., di figurazioni di danza. Di qui il suo sapere gustare il ‘patire’ questa arte.
Perciò Platone farà dire al suo Socrate nel “Fedone”: la “filosofia è la più grande musica”.(40)
6.Discorsi in performances , come talk-schow, ed il modo dottrinario.
Ma che significa l’espressione |discorsi in performanza| ? In linea generale qui intendo |signific-Azione|, ‘parola attiva’. ‘pensiero in azione’.
La formula generale del modo performativo di significazione è rinvenibile in veste metaforica in Platone stesso e proprio nel Teeteto :
“ Colui che indica come si guada il fiume, o Teeteto, diceva che la cosa stessa lo rivelerà” (41)
La ‘cosa stessa’ è anche e soprattutto la stessa originale testualizzazione platonica, lo stesso poiein/ fare di teorizzazione che la impulsa e la muove dall’interno. Ed in questa dobbiamo anche noi lettori saperci ‘buttare’ se vogliamo avere esperienza dei suoi effettivi moti e direzioni di senso.
A questo modello di un teorizzare come ‘performance di concettualizzazione, come azione rivelatrice di significazione,’ egli perviene guardando verso il modo geometrico- matematico .
In Repubblica ,nel contesto di una sottile polemica con i portatori di una falsa immagine, riduttiva deformante della essenza dell ‘operare geometrico-matematico, Platone fa dire al suo Socrate interloquente con Glaucone, che quell’ Agire che è il Quadrare, l’Applicare , il Sommare, nella sua connessione con le relative argomentazioni, non è una condotta empirica, pratico-utilitaria priva di intrinseca valenza concettuale, ma è, al contrario, una ‘pratica di conoscenza” e come tale a suo modo è aperta sull’ “eterno”.(42) . Questa essenza Operativa del fare geometrico-matematico non è mai persa di vista dal Platone autore di una filosofia che vive di filosoFare (43).
Il contesto funzionale, però, più diretto del concetto di |azione significativa| è, in Platone, la esperienza di viva e coinvolgente comunicazione praticata con la poesia teatralizzata del suo tempo; e ,quindi, con la esperienza di interazione tra autore-attori e pubblico dentro una peculiare e determinata tradizione culturale e di formazione della ricezione e del gusto, della sensibilità e della mentalità privata e pubblica.(44)
Questo fare poesia , nella vita della Città-Stato greca, sta in un contesto di un fare/poiein di un fare liturgia, di un ‘iniziarsi’ e cercare il contatto con il divino dentro una esperienza collettiva. emozionante, entusiasmante, rammemorante, pregna di mitologizzazione, di simbolizzazione (45)
Perciò, in Platone e per Platone , il riferimento della filosofia alla poesia è essenziale ; naturalmente si tratta di una poesia ‘sui generis’ rispetto a quella che da moderni conosciamo; e comunque essa è quella alla quale è essenziale il suo avvenire dentro un contesto ed un processo di comunicazione che oggi diremmo mass-mediatica: e l’istituto sociale che funziona da principale mass-medium, nell’ epoca che fu di Platone, è la macchina del teatro di Stato.(46)
Un altro spazio-tempo della signific-Azione. del significare-agendo, è costituito dagli eventi culturali e dalla comunicazione quotidiana nei luoghi della piazza agorà e dei suoi edifici e spazi , che possono essere, ad esempio, templi, palestre, tribunali, sede della assemblea politica, vie sacre, o sontuose case private di ricchi e famosi cittadini.(47)
Caratteristica di tutte queste performances è il loro realizzarsi come talk-schow,
come ‘parlare spettacolarizzante ’ e non di rado teatralizzante, cioè imitante modi e tecniche di comunicazione sociale propri della arte drammaturgica attica (48).
Pertanto, quando Platone operativamente ci dirà con opere come il Gorgia, il Protagora, l’ Ippia maggiore , l’ Ippia minore, il Fedro, che non vi è filosofia senza una rigoroso confronto con la eloquenza, con la retorica (49), come tecnica di parlare al pubblico per conquistare la sua adesione ad un messaggio, egli ci ribadisce che i logoi di cui la sua filosofia si interessa, non sono in prima istanza, né quelli propri dei portatori delle Technai, degli esperti-specialisti in scienze e tecniche, né quelli ingenui e spontanei della conversazione quotidiana, e neppure quelli della esperienza di una conversazione e discussione dialogica autentica, cioè - come è espressamente detto nel Fedone- che non mira come la retorica sofistico-eristica a vincere una contesa o a conquistare alle proprie tesi l’interlocutore, essendo unicamente interessata alla sola ricerca continua della verità, del senso della vita e della morte umana.(50).
Ricerca dialogica quest’ultima, che non tollera l’ “invidia”/phtonos e che esige una assidua consunstanziazione/synousia comunitaria tra gli individui impegnati in essa , e dove il giorno della verità è aperto dall’aurora di una “scintilla”, come è scritto nella Lettera VII.(51), e sta sotto il segno di un universo di luce al quale attingiamo nella esperienza del saper custodi/phylakes in comunità , per la comunità..(52)
Ancora una volta Platone, in tal modo ed innanzitutto, avverte .dunque, il suo lettore-adatto, (53) che in via principale egli sta osservando , ha preso di mira e fatti oggetto di “caccia” non i discorsi dei ‘professori di filosofia, degli autori di pure dottrine, elaborate in trattati e manuali; bensì quei discorsi che sono muniti di effetti spettacolari, fascinosi e/o terrificanti; discorsi capaci di colpire, condizionare, influenzare , adescare, anche in maniera sub-liminale, il pubblico degli uditori-spettatori .
Essi sono quei discorsi che possono diventare anche le armi degli accusatori di Socrate e, perciò, si dice essi sono mossi da “invidia” /phtonos e sono fatti di “calunnia”/diabolè . Invidia-calunnia : una coppia terribile di termini e di fenomeni sociali che ritroviamo allusi nell’ Eutifrone. (54)
Che Platone si interessi soprattutto di questi strani logoi, lo si può leggere già nell’ avvio della Apologia di Socrate, dove viene mostrato in una ripresa dal vivo, in diretta ed in primo piano, un Socrate che confessa ironicamente di essere stato colpito dai logoi del suo accusatore Meleto; ed egli si dice così impressionato e abbagliato dalla loro ‘brillantezza ed finezza’ da essere sul punto di convincersi che Meleto dica la verità, e che, dunque, egli sia effettivamentete colpevole di ateismo, di corruzione delle anime dei giovani, di essere un abile manipolatore di discorsi, sapendoli trasformare da inconsistenti e falsi, in fortemente convincenti e apparentemente veri.(55)
Ora se questi sono i discorsi che Platone mette al centro della sua osservazione ed indagine, è del tutto evidente che chi legge ed interpreta il Platone scritto, innanzitutto come autore di ‘dottrine filosofiche, ’ manca fin dall’inizio il corretto ed adeguato accesso funzionale ai suoi testi e finisce per fraintenderlo radicalmente o è costretto –per salvarlo e valorizzarlo in una storia della filosofia come storia di dottrine- ad usare programmaticame solo parzialmente la sua opera scritta nella sua portata e valenza teorica. (56)
E chi ha visto ,ad esempio, il Platone di Leggi come autore di un disegno di società e di Stato ispirato da una visione totalitaristica e ,quindi, chi lo accusa di essere un dichiarato nemico di una “società aperta” (57), è appunto un inteprete vittima del pregiudizio che Platone vada letto alla luce del paradigma dottrinario, ed in questo caso, di quella dottrina dello Stato e della società che si insegna nelle Scuole, nei dipartimenti di filosofia del diritto o di sociologia giuridica, di storia delle idee , delle moderne Università.
E chi si scandalizza o almeno rimane disorientato che,- in una opera d presunta pura dottrina socio-politica – quale sarebbe Repubblica- si possa trovare una polemica insistita fino alla fine contro la poesia ed , a chiusura e come epilogo, un discorso sulla immortalità dell’anima a coronare l’intera indagine, cade in questo imbarazzo perché fin dall’inizio crede che la celebre opera – che con Leggi costituisce i ‘ due soli’ della costellazione Dià/logica platonica-, possa essere compresa secondo quel paradigma funzionale proprio della maggior parte degli studi platonici (58).
Questo inadeguato approccio- che ancor prima di essere contenutistico e di selezione ed organizzazione di contenuti è funzionale appunto- è alla base di quasi tutti i modelli ermeneutici vecchi e nuovi (59), che hanno un tratto fondamentale in comune : quello di non riuscire a rendere conto di come e perché in Platone il modo del Racconto è parte integrante di una Teorizzazione che è Dimostrazione , a sua volta svolgentesi come Falsificazione rigorosa.
E preciso subito un altro punto fondamentale , che , quando non è compreso , è all’origine di vasti malintesi, che accompagnano discussioni che muovono da falsi problemi , perché condizionati da fuorvianti presupposizioni funzionali non problematizzate e che entrano in conflitto con il tipo di lettore che Platone ha progettato e previsto per la sua opera.
Questo punto è: Platone procede per Racconto/mythologhein- e per Paradigmiparadeigmata. non perché non saprebbe trattare la materia secondo una elaborazione riflessiva puramente dottrinaria e nello stile del trattato – alla maniera del suo più grande discepolo, Aristotele- ; ma perché con la sua opera scritta ha voluto dare esecuzione ad un’altra idea di filosofia e di teoria filosofica; e ciò in presenza di un problema fondamentale, che per la sua natura funzionale sfugge alla presa del paradigma dottrinario, tecnico-epistemico, che ‘naturalmente’ deve essere puro, cioè senza il modo del Racconto, , del Mytos, come lo stesso Aristotele evidenzia; e su questa caratteristica fondamentale del discorso scientifico il suo maestro,il Platone Scienziato, non avrebbe potuto non concordare.(59)
7. La manipolazione della opinione pubblica ed il teatro di Stato.
Ora tale problema fondamentale è – nel suo nucleo essenziale- quello che si associa al fenomeno - che in termini moderni oggi diremmo | manipolazione dell’opinione pubblica | nella società a spettacolarità diffusa e spinta , nella società delle ‘fabbriche del consenso’, attraverso le ‘macchine dello spettacolo,’ allestite ed usate dale minoranze organizzate dei ‘poteri forti’ per conquistare il favore delle masse e comunque per farle aderire ai loro interessati messaggi(60).
Platone –Scienziato (61), - cioè quel Platone che non è inferiore a nessuno del suo tempo e della sua Accademia nel padroneggiare, nei suoi fondamenti statutari e nei suoi più importanti risultati, . lo scibile allora disponibile ed in cantiere, ed in particolar modo la scienza geometrico-matematica,-, quel Platone è anche colui che ha chiara consapevolezza teorico e linguistica che la macchina del teatro di Stato ed il complesso di espedienti di cui si è attrezzata la comunicazione sociale spettacolarizzata hanno portato allo scoperto una phainomeno-logia, cioè un apparizione di logoi, le cui dinamiche ed i cui effetti non possono essere fronteggiati rimanendo dentro la prospettiva e le pratiche delle condotte metodiche proprie del saper fare tecnico-epistemico.
In questa coscienza socio-linguistica e consapevolezza teorica vive il Platone della Odissea Dià/logica, le cui Fatiche e Peregrinazioni, in vasto e pericoloso mare, non hanno altro scopo che quello di venire a capo di ciò che muove dal profondo questi Pseudoi-logoi di una Pseudè Doxa falsa opinione/ (62), costituzionalmente e funzionalmente mutanti, e sfuggenti ad una presa diagnostica rigorosa di essi per una conseguente efficace loro ‘distruzione’, che anche è nello stesso tempo sotto diverso aspetto una logoi-terapia, una cura dei discorsi. (63)
Questo moto vulcanico profondo è indagato da Platone in riferimento alla condizione intellettuale del ceto dirigente, ed attraverso la costante mediazione del linguaggio ; osservando questo nella sua varietà e complessità semiosica, e, quindi, anche nelle sue strane movenze, nei suoi artifizi e pretese di senso e di verità : nei suoi imbrogli.(64)
Per avere un piano di confronto e per meglio inquadrare il complesso meccanismo, che Platone esplora in tanti varianti quante sono le sue opere scritte, dobbiamo richiamare quelle che passano, nella moderna teoria della comunicazione (65), come le quattro principali regole per rendere efficiente, efficace la manipolazione di un pubblico che vive dentro i flussi, le correnti di messaggi trattati e trasmessi con gli strumenti invasivi , avvolgenti e magnetizzanti della comunicazione spettacolare.
Le riassumo come segue :
1- Escogitare un inganno, confezionando un falso messaggio, per conseguire per sé un utile danneggiando altri, e diffonderlo, utilizzando persone autorevoli, credibili ed influenti -più o meno consapevoli complici- che si rendono così veicoli efficaci della sua trasmissione.
2- Arricchire questo falso messaggio con vari e ben congegnati ulteriori elementi informativi ed argomentativi, tutti convergenti ad intensificare la sua verosomiglianza ed apparente verità ed attendibilità.
3- Connettere alla sua trasmissione e ricezione un effetto seduttore o di terrore e comunque con capacità di presa emotiva collettiva.
4- Riassumere il falso messaggio in una formula-parola d’ordine-incantesimo, che colpisca ed attragga con immediatezza l’interesse e l’adesione del destinatario.
8.Il principale falso messaggio e le sue varianti.
Applicando questo schema alle diverse tappe della traversata platonica dei logoi en te polei, cioè dei discorsi in città, ci accorgeremo che il falso messaggio, attorno al quale ruota tutta la sua navigazione ed esplorazione, è sempre lo stesso :
“Il giusto è l’utile del più forte”(66).
Questo proclama costituisce lo spot-guida, che , in diversi gradi e modi della sua apparizione, viene assunto da Platone come costante bersaglio della sua “caccia”/thera, dove la cattura della preda deve essere intesa – e lo ripeto- come attività di smascheramento e di denudamento di una “falsa opinione”/pseudè doxa..
Questa si distingue dalle altre generiche false opinioni, perché non solo pretende di valere come credenza vera giustificata, cioè come sapere tecnico-epistemico, ma addirittura perché ambisce essere universalmente riconosciuta come vero ed unico fondamento della cultura, della educazione, e della stessa sapienza/sophia, cioè di quel modo di vedere, pensare,sentire ed agire che ci porterebbe verso la felicità/eudemonia, o comunque verso un “vivere meglio”/ ameinon biosoimen in città (67)
In forza di questa sua pretesa, il falso messaggio di una felicità e di una giustizia da conquistarsi attraverso il dominio e la soperchieria-sopraffazione/pleonessia, ha bisogno di una incessante e penetrante e convincente legittimazione socio-culturale, dentro i processi di comunicazione sociale, affinchè esso da sofisma-menzogna possa essere visto, sentito, immaginato e creduto dalla moltitudine dei cittadini come fondamentale verità di pensiero e di vita per ogni città ed in ogni tempo, in cielo ed in terra. Il sofisma,perciò, pur essendo inconsistente dal punto di vista della sua pretesa di verità e di validità, ha una sua ‘ferrea logica’ di efficienza e di efficacia.
9- Lo spot-guida in una varietà di Maschere e di Tipologie.
Ci sono in Platone diversi tipi di personaggi; uno di questi tipi è dato da una serie di individui, ideati e costruiti e fatti funzionare, sulla scena della sua scrittura, come portatori di una precisa variante degli effetti prodotti, sulla sensibilità e ed opera come una formula-incantesimo/epodè (68), come cibo prelibato-raffinato/eistìa(69) che attrae; come emozione che magnetizza simulando l’entusiasmo/ enthousia della esperienza mistico-religiosa e quello della poesia.
Tutti questi personaggi interlocutori di Socrate sono, a diverso titolo ed in diversa misura, intellettuali illustri o che, comunque, hanno fatto parlare di sé in città per qualche impresa che ha fatto notizia, scalpore, audience.
Carmide, Eutifrone, Ione, Eutidemo,Alcibiade, Menone, Callicle, Trasimaco appartengono tutti a questo tipo di personaggi, ai quali è assegnato rispettivamente il compito, la parte di sostenitori e di propagandisti di ideali di esperienza politica,
di vita religiosa, di arte rapsodica, di pratica etica, e di una visione del costume erotico, di una concezione di coraggio, e, quindi, di giustizia,- tutti ispirati e plasmati da una visione della realtà umana e divina fondata sul primato del più forte, che solo in virtù della affermarsi di fatto di questa sua potenza-tracotanza produrrebbe bene, bellezza, utilità sociale, verità.
Questi intellettuali-dirigenti, Platone, inventore di nuove maschere, figura con la tecnica pittorica e scultorea della parola di una prosa d’arte; e li rappresenta come affetti da un male sociale che ha contaminato la loro mente e che ha provocato profonde distorsioni nellla loro concezione della cultura e dello stesso sapere di cui si dichiarano esperti.
E noi lettori con Platone dobbiamo considerarli come una varietà di Casi(71), nei quali quel falso messaggio principale e portante cerca di trovare un sostegno ed una conferma della sua pretesa e presunta verità e validità.
Stiamo così nell’ambito della seconda regola del dispositivo della manipolazione dell’opinione di una massa di individui, di un pubblico, destinatario della comunicazione ingannevole.
Per vedere, poi, chiaramente il Platone che ha colto quanto sia importante per il falso messaggio il munirsi di pratiche comunicative capaci di produrre effetti collettivi di pietà-terrore su una moltitudine di soggetti, bisogna leggere lo Ione.
Qui Platone, con una storiella, che come racconto già sta in un processo di teorizzazione mirata , rappresenta il caso di un cantante-attore che si è venduto ai signori delle guerre in cambio di danaro , in un festival di rapsodi omerici, dietro il suo impegno di non recitare mai contro la guerra di conquista e di non inneggiare mai alla bellezza della pace come,invece, fecero Esiodo ed Archiloco-. i quali peraltro lo annoiano fino a farlo appisolare.
Ione esalta così la bellezza ed il piacere di uccidere, utilizzando e strumentalizzando a questo scopo un certo Omero; Ione è corrotto mentalmente fino al punto di essersi convinto che l’arte rapsodica sia solo uno strumento per convincere ed ‘entusiasmare’ le folle ad ‘armarsi e partire’ ed addirittura che la rapsodia omerica, cioè l’arte di saper cantare in teatro la poesia di Omero, sia una tecnica e scienza per l’ attività di persuasione nella pratica della strategia militare.
Ione ,infatti, viene scoperto da Platone alla fine dell’opera, - che si svolge nella atmosfera amara e sarcastica di una “canzonatura beffarda” (72)-, nella sua vera e segreta profonda aspirazione : quella di essere nominato stratega dai signori delle guerre ad Atene , e di guadagnare questo prestigioso incarico, eventualmente anche con l’appoggio di quei potenti amici che gli hanno fatto vincere il festival di Epidauro.
C’è, poi, anche un’altra opera in cui , custodita e veicolata dall’elemento /Racconto, è di scena una variante di quel centrale falso-messaggio; tale variante viene munita di un ingrediente che ha lo scopo di catturare l’interesse della folla destinataria della notizia/shok , per provocarla a reagire secondo l’aspettativa dell’ideatore e confezionatore del falso-messaggio.
Questa fiction è l’ Eutifrone ., dove si rappresenta il caso di un giovane sacerdote e teologo che – come suggerisce ironicamente l’etimo del nome- ‘ sa fare bene divinazioni e sacrifici’ in virtù del suo preteso possesso della scienza teologica, che gli consentirebbe di poter dimostrare con una “grande prova” (73) la essenza del divino/theion e del santo/hosìon.
Come Ione, Eutifrone è smanioso di farsi assumere , da quelli che in città contano, come consulente in divinazioni e profezie soprattutto in relazione alla opportunità o meno di intraprendere guerre.
Per dimostrare fino a che punto egli sia capace di applicare la sua presunta arte, e traendo occasione di un tragico incidente accaduto nella sua famiglia – cioè l’uccisione involontaria da parte di suo padre di un bracciante a sua volta involontario omicida di uno schiavo- il teologo rampante si decide di accusare suo padre per aver volontariamente violato la legge che vieta al padrone di uccidere un suo dipendente.
Eutifrone viene scolpito dal suo autore Platone come chi non teme di trascinare in tribunale il padre – sostanzialmente innocente e rispettoso dela legge e dei giudici-, per farlo condannare a morte , sotto l’effetto di quel falso messaggio , per il quale sarebbe la volontà di potenza e la capacità di dominio violento a decidere del bene e del male, della virtù e del vizio, e,quindi, anche di ciò che è sacro-santo e di ciò che è empio; della stessa nautra della pietà e del rispetto che un figlio deve al proprio padre.
Con questo suo Eutifrone, Caso e Nome/Maschera dell’ incrocio di violenza e sacro ( 74) - Platone vuole portare allo scoperto e denunciare apertamente che l’apparente pazzia del suo personaggio è solo la punta di un iceberg di una devastazione morale dello spirito pubblico che si è spinto fino a inquinare e corrompere l’immagine stessa del divino e del rapporto dell’uomo con esso, fino a fare di un vanitoso e presuntuoso sacerdote-teologo un invasato carnefice del proprio padre, incolpevole ed in buona fede.
Ad essere impazzita ormai è la stessa città con la sua voglia sfrenata di conflitto familiare, civile, statale ed interstatale e che si spinge non ad opporsi a leggi particolari, ma a misconoscere lo stesso principio costituzionale e, dunque, alla necessità stessa che ci siano leggi uguali per tutti/isonomia. (75)
Eutifrone sa di non essere pazzo, perché è convinto che la sua terribile ed oscena trovata avrà successo nella sua città ammaliata dal fascino di quel falso messaggio.
Che la città sia caduta in preda di questa follia collettiva connessa ad una voglia ossessiva di litigare e di innescare conflitti, ha la sua manifestazione più agghiacciante ed ostentata nel fatto che nelle stesse sacre processioni si portano stendardi in cui i pittori hanno raffigurato gli dèi in lotta tra loro.(76)
Eutifrone, teologo fondamentalista che ha sacralizzato la violenza, è un ‘terrorista ideologico , un portatore dell’ideologia del sacro terrore, ’ che porta in primo piano e nello spazio stesso della religione , del culto e dei suoi apparati sacerdotali, la condizione psicologica di una società che agisce e reagisce sotto l’effetto di una propaganda astuta e sofisticata della violenza come valore culturale e di vita in città.
Non si comprende,pertanto, nulla della filosofia della teologia del Platone scritto, né della sua filosofia della poesia, se si perde di vista questa originalissima loro contestualizzazione storica.
Questa loro collocazione impedisce di concepire la prima e la seconda in via principale come dottrina filosofica della poesia e dottrina filosofica della teologia e della religione; e,quindi, di considerarle in quel modo della loro impostazione che si riscontra nei libri e manuali odierni di storia della filosofia.
La critica platonica di una teologia come scienza, come discorso per techne ed episteme, e la sua ‘estetica critica’ accadono , dunque, dentro la ripresa ed osservazione sistematica del fenomeno della manipolazione dell’opinione pubblica e delle coscienze dei cittadini per calcoli politici e di dominio.
Per quanto riguarda, poi, la quarta regola della pratica del capzioso adescamento di una folla di individui , caratterizzati da aspettative e paure culturalmente e storicamente determinate, se ne può facilmente trovare in Platone una costante conferma.
Infatti, in ogni opera c’è uno ‘spot’ riassuntivo del Caso che si rappresenta attraverso la invenzione di appositi Nomi/Maschere , che hanno il potere di evocare una storia esemplare e, perciò. istruttiva, al punto di fare dei racconti platonici anche dei ‘drammi didattici’ di una Odissea Dia/logica, dove un Platone-Odisseo affronta le sfide camaleontiche di un falso-Proteo (77) e di ‘moderne’ e pericolose Sirene.
Il sofisma-menzogna di una “giusto come l’utile del più forte”, per rendersi.infatti, persuasivo, assume molte facce e agisce con una varietà di incantesimi ‘alla moda’; ed in questo senso simula il dio marino Proteo , che sfugge a chi vuole prenderlo per interrogarlo sul futuro, spaventando e disorientando, chi lo vuol costringere a fare divinazioni profetiche, con una girandola di metamorfosi , per le quali egli non sta mai fermo in un aspetto preciso e fisso.
Nell’ Eutifrone, dove ad essere proteiforme è in primo luogo la dinamica argomentativa in gioco, lo spot che caratterizza la rappresentazione è dato dalla formula : il santo è ciò che piace agli dèi”.(77)
Nella stessa Apologia di Socrate agisce , per lo più alluso e ricostrubile sulla base del gioco narrativo complessivo, quest’altra implicita formula magica : ‘ la sapienza di vita/sophia è volontà e pratica di potenza ‘. (77)
Nello Ione il messaggio pubblicitario dice: ‘ poetare è saper imitare e riprodurre l’ entusiasmo guerresco’.
Nel Fedro a confenzionare il brillante falso messaggio’ è Lisia che propaganda il programma erotico pseudo-rivoluzionario all’insegna della parola d’ordine :
l’amato deve compiacere chi non lo ama, e non chi lo ama (78).
Nel Simposio lo spot è espresso nella descrizione della perfomance di Alcibiade che esalta con il suo comportamento da scostumato, un preteso nuovo e superiore ordine della riunione conviviale e che fa passare la sua dissolutezza come vera regola del rapporto amoroso.(79)
In più di un’opera - nel Lachete ed in Leggi, ad esempio- a funzionare da ‘specchietto per le allodole’ è la massima : ‘Coraggio è saper fare violenza’.(80)
Nel Carmide il saper fare politica e direzione politica è pubblicizzato come ‘sapere fare i fatti propri’ ed ‘Imporre la propria super-volontà agli altri’. (81)
Tutte queste false opinioni sono varianti di quella emblematica, messa in bocca a Callicle nel Gorgia e che viene ripresa in versione, argomentitativamente più raffinata, nel primo libro di Repubblica: essa costituisce il perno della girandola di slogan di incantamento di massa, caratterizzati da una voluta polivalente ( Polytropos) (82) ) ambiguità e truccati con ingredienti che stuzzicano la voglia di un affermazione sociale, da ottenere facilmente e senza guardare in faccia alla liceità dei mezzi.
Ma il più sofisticato di questi messaggi pubblicitari è quello inserito nel Teeteto : “L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono, e di quelle che non sono,in quanto non sono”.(83)
Se si legge l’opera ,tenendo conto della sua peculiare forma di esposizione, che rimane spettacolare e teatralizzante, ci si renderà conto che questo famoso detto di Protagora non è ripreso in un contesto di esame e confronto di dottrine, ma in quanto parola d’ordine di moda di un proclama che dell’uomo esalta unicamente la sua esperienza sensibile e di piacere-dispiacere; un proclama che accade ed è usato ed abusato nel vivo di una comunicazione sociale su i valori più importanti della vita in città, e,quindi, nella corsa ‘agonistica’ per l’egemonia culturale ed educativa.(84)
L’attrazione di questo ‘umanismo sensistico e relativistico’ è corroborata da una coloritura di grande effetto luccicante ,perché essa si appropria di un termine fondamentale della cultura più avanzata del tempo, quella della geometria-matematica, vale a dire del termine e della idea di Misura/metron.
Nel Teeteto è così di scena il più ‘incestuoso’ degli incroci e la più assurda della combinazioni : quellla di una assolutizzazione della dimensione sensistica, e,dunque, della immagine e della nozione di flusso fino alla negazione di ogni invarianza; invarianza che è implicita nella idea di principi, nel concetto di Numero come Misura ed in quello di Teorema.
La mostruosa falsa mescolanza/mexis tra lo spot “Tutto scorre”(85) e quello “L’uomo misura di tutte le cose” mette in evidenza fino a che punto il sofisma-menzogna sia riuscito a mascherarsi ed ammantarsi di pseudo-immagini della esperienza quotidiana e della vita culturale, per rendersi credibile ed autorevole. Questa sua penetrazione profonda e devastante nella spirito pubblico e nella coscienza degli intellettuali, è evidenziata e denunciata da Platone attraverso la invenzione drammatizzante della coppia Teodoro- Teeteto.
Questi, che sono tra i più grandi matematici del tempo- , per un tratto della loro vita si sono lasciati invaghire ed abbindolare dall’annuncio di una centralità dell’uomo nell’universo, che farebbe del divino/theion stesso, della natura/physis, e del caso/tyche , realtà e forze sottoposte alla legge tecnico-scientifica/techne-episteme, di cui la logica e l’operare della geometria-matematica costituiscono il vertice.
Teeteto è il più tragico -comico dei Casi, proprio perché ad essere contagiato dalla macchina della manipolazione dell’opinione pubblica- nel senso lato ed essenziale di questa espressione- è un illustre scienziato, il più esperto nella logica delle grandezze irrazionali.
Come altri personaggi, però, -e ci riferiamo ad esempio agli intellettuali del Simposio con esclusione di Alcibiade, e ,poi, a Cratilo, Filebo, lo Straniero del “ Sofista e del Politico , a Gorgia, ad Ippia , a Protagora, a Timeo, a Fedro, ai pitagorici seguaci di Filolao nel Fedone- egli non può essere considerato come l’intellettuale che si è venduto l’anima o sta lì per lì per farlo – come nelle vicende di Eutifrone e di Ione- ai più forti ed ai dominatori della città.
Teeteto,infatti, è piuttosto vittima della illegittima pretesa che il suo sapere e saper fare particolare, sia tutto il sapere o comunque il suo assoluto fondamento.
In questa condizione mentale di unilateralizzazione ed assolutizzazione di una scienza e di una tecnica, Teeteto finisce per impedirsi di accorgersi che l’irrazionale che accade nelle pratiche di manipolazione della coscienza dei cittadini è di tutt’altra natura di quell’irrazionale che egli indaga nellle ricerche geometriche-matematiche.
Egli così diventa oggettivamente corresponsabile del dilagare nella vita comunicante della città sulle “Cose Massime”/tà meghista (86) di quella presunta super-scienza e pretesa autentica sapienza riassunta nel massimo degli spot, quello che pubblicizza e propaganda la visione dello stare insieme in città all’insegna di un “giusto come l’utile del più forte”..
10. Accenno al mio modello interpretativo in una pluralità di modelli rivali
Quanto fin qui ho abbozzato, come primo aiuto al lettore per una introduzione, ‘diversa’e forse più interessante rispetta a quelle correnti, al Platone scritto, può essere ripreso ed ulteriormente chiarito utilizzando le indicazioni generali di questa via : la teorizzazione filosofica platonica non si intende nella sua matrice funzionale e costruttiva senza mettere al centro il problema complesso che fu del Platone scritto.
Tutto sta naturalmente a saper individuare , utilizzando al meglio ed al massimo le sue tracce , qual è questo problema e come si fa riconoscerlo ; per questo scopo – lo ribadisco- bisogna avvalersi della costante mediazione della sua opera, considerata in tutta la sua estensione documentale e tenendo conto di un fatto che è più facile ammettere che negare : ci fu un’attività di ricerca e di elaborazione teorica di Platone, che è insieme previa e parallela rispetto a quella registrata nel suo lavoro scritto. Platone fu dotato di eccezionali e complesse capacità di astrazione e formalizzazione metodico-sistemiche che gli permisero di essere lo ‘scienziato degli scienziati’ in Accademia.
Come questo Platone è presente ed influenza sostanzialmente il Platone autore della filsofofia dià/logica, è un problema la cui soluzione è decisiva per capire come egli esegue e realizza la sua teoria esposta e registrata in un’originale testualizzazione(87)
Ora – per attenerci all’esigenza del rispetto delle tracce per la individuazione del campo problematico platonico- è indispensabile tenere conto di quell’ammasso di indizi che convergono tutti a configurare una precisa e costante forma del modo di esposizione.
E se non c’è nessun interprete che neghi la presenza in ogni opera dell’ Elemento Narrativo, molti sono,invece, coloro che ritengono che la dimensione di racconto non vada considerata nella ricostruzione delle teorie platoniche, e che, pertanto, essa avrebbe solo una portata e valore di bella scrittura con finalità tutt’al più didattico.psicagogico-educative nei confronti del pubblico destinatario e del lettore adatto.
Perché tali lettori, che pur lodano la bella forma letteraria, non sono i lettori adatti, i “lettori modello”, che Platone prevede nello stesso momento in cui progetta e realizza il suo lungo discorso scritto ?
Innazitutto perché questi interpreti perdono di vista quella visione generale della forma che Platone non dimentica neppure quando dà luce e vita al suo grande ‘sinolo’, cioè a quel tutto determinato che è la sua opera scritta ; questa è appunto il risultato della combinazione della forma di esposizione-espressione con la forma del piano di generazione dei contenuti concettuali.
In virtù ed in forza di questa idea generale di forma come il venire ad essere ed il venire a mostrarsi di una realtà determinata nel suo intrinseco e dinamico principio d’ordine, ciò che viene chiamata |forma letteraria| - come ho detto- non può considerarsi un ‘bel guscio’ giustapposto alla sostanza teorica o un complesso di espedienti linguistici ed immaginativi per esemplificare un messaggio teorico complesso e per stimolare l’attenzione e l’interesse di un lettore al quale piacciono le belle storie .
Questo significa che la forma del piano di esposizione dei pensieri di Platone, il ‘genere letterario’ in cui si inscrive, concorre in maniera originale e sostanziale alla generazione ed orientamento di questi pensieri. E,perciò, essa non può essere messa tra parentesi o marginalizzata e ridotta a pur o mezzo retorico di emozionante ed affascinante scrittura’.
Su questa compenetrazione ed interpenetrazione tra forma del piano di espressione e forma del piano del contenuto teorico hanno soprattutto insistito quegli interpreti che appunto hanno considerato la ‘forma dialogica’ come ‘forma ad susbstantiam’, cioè decisiva per trovare i luoghi testuali dove stanno i pensieri filosofici di Platone.
Chi ha letto e legge gli scritti platonici secondo questo paradigma dialogico di solito associa ad esso anche il riconoscimento della costanza dell’elemento drammatico - o meglio- drammatizzante ed ironico,.
E,perciò, questo modello ermeneutico dovrebbe essere denominato come |modello dialogico , didattico-drammatizzante|.
In che consiste allora la differenza del modello che propongo con questa ricerca ?
In che cosa di fondamentale esso si distingue dal paradigma intepretativo che guarda verso il testo dal punto di vista del principio dialogico, inteso come forma espositiva e sostanza teorica del discorso filosofico del Platone scritto ?
E perché la via alternativa di lettura proposta non è neppure quella del modello della “nuova interpretazione”, cioè quella che ritiene indispensabile il ricorso al Platone della dottrina orale dei Principi per scoprire la pregnanza del Platone teorico dell’opera scritta e che mette al centro la figura del gioco di scrittura che approderebbe ad un Platone senza una propria filosofia ? (88)
Ed inoltre : come esso spiega il rapporto tra i dialoghi dove Platone senbra essere più vicino al “Socrate storico o semi-storico”(89 ) e gli altri dove Platone sembrerebbe impegnato ad illustrare principalmente le sue proprie dottrine metafisiche e di teoria delle idee ?
In breve : il modello che qui assumo e vado delineando, mentre tiene fermo il canone dell’unità profonda della forma del piano di esposizione con quella della produzione dei contenuti speculativi, considera come criterio di identificazione e qualificazione della prima quella già indicata come ‘forma spettacolarizzante e teatralizzante’.
Per me la posizione di questo canone interpretativo, in riferimento alla forma del piano di composizione-esposizione, ha delle precise conseguenze sul modo di ricezione e di fruizione del testo in vista della scoperta del Platone teorico.
Innazitutto il lettore adatto deve sapere in via previa che l’elemento dialogico conseguentemente va incluso e subordinato ad una funzione costruttivo-compositiva che nasce e si sviluppa come metaforizzazione funzionale-analogica di alcuni elementi strutturali della ‘grammatica’ della drammaturgia attica del V e IV sec..
E,pertanto, per esempio : interpreto l’alternarsi di domande e risposte non come una imitazione di una caratteristica della conversazione quotidiana o del vivo colloquio filosofico o di una disputa tra due o più viventi interlocutori; per me ,invece, quell’ alternarsi richiama l’articolazione del discorso tipica della comunicazione teatrale, di cui Aristotele, da accademico platonico, formalizza lo statuto nella sua Poetica.(89)
Vero è che di “teatro dei dialoghi”, di “lettori spettatori”, di ‘scena della scrittura’, di nomi-maschere, di “lettura scenica” hanno già parlato alcuni interpreti(90); tuttavia questi stessi hanno poi continuato o ad agire prevalentemente come lettori accademici o hanno escluso nel riconoscimento della portata semantica i valori di teorici, sul falso presupposto che teoria equivalga alla sola elaborazione dottrinaria; e senza capire e trarre le dovute conseguenze dal fatto che in forza di quella peculiarità della cosiddetta “forma letteraria” tutti i personaggi – Socrate compreso- ai quali Platone dà vita, rispondono ad una logica Tipologica e di Casi. e non prevalentemente ad un ottica storico-realistica.
Così che – ad esempio- continuare a porsi il problema di stabilire quanto delle cose fatte da dire da Platone al suo Socrate sia riconducibile al Socrate della storia e quanto, invece, al suo autore e regista- Platone- è porre una questione che non è direttamente pertinente alla natura dell’opera, e non è conforme alle caratteristiche funzionali che questa natura esige dal lettore impegnato a riconoscere la coerenza e la omogeneità della sua portata di senso. (91).
Se ,infatti, Socrate è un Tipo – ed un Proto-Tipo- portatore di una Tyipos- loghia, per questo suo carattere genetico il lettore adatto già sa, che la sua figura è il risultato di una mescolanza-combinazione-trasformazione di elementi storici e di tratti di idealizzazione nello spirito della formazione di un messaggio fondamentale che Platone vuole trasmettere alla sua Ellade, e nel contesto storico-culturale di un pubblico abituato a questo tipo di operazioni di Tipizzazzione proprie della comunicazione spettacolare, che tanta parte ha nello stile comunicativo ed educativo anche di altre culture della antica civiltà del Mediterraneo , come per esempio di quella ebraica , che soprattutto nel IV secolo interagì profondamente con quella ellenica (92)
11. L’ordine dei dialoghi : un sistema planetario con due soli
Analogamente chi cerca lo svolgimento dei pensieri di Platone, sul presupposto che non sarebbe possibile che egli abbia prodotto le sue opere tutte di un colpo e senza mutamenti e revisioni di posizioni teoriche, pensa la evoluzione di una ricerca senza problematizzare l’idea stessa di sviluppo, quando è applicata nella ricostruzione della sua filosofia.
Qui a questo proposito mi limito a fare la seguente osservazione : non è affatto impossibile che Platone - che non scriveva con la preoccupazione e la fretta di pubblicare le sue opere e che ,quindi, poteva continuamente tornarci sopra per modificarle - abbia disegnato ed abbozzato il programma di tutte le sue ‘sinfonie’, del suo grandisoso ‘affresco’,, enucleando i tratti essenziali dei motivi che avrebbe poi via via elaborato, in circostanze e tempi diversi.
In generale,poi, ritengo che nell’applicare al discorso platonico la idea di evoluzione bisogna lasciar in disparte la sua versione corrente e che si deve guardare,invece, al tipo di successione che accade tra i teoremi della geometria euclidea e, per esempio, tra il primo ed il secondo teorema.
Tra l’uno e l’altro c’è certamente una successione-mutazione di giochi diversi, per problema e complessità di percorso, ma dentro una stessa ‘grammatica problematica e teorematica’ dove il processuale non è nè il seriale-cronologico, né il continuo di un organico-cumulativo.
Come Euclide Platone,inoltre, non ci parla dei suoi dubbi e revisioni di autore, perché ci presenta ogni tappa della sua Odissea filosofica come uscita già già bella e fatta dalla sua mente, come risultato di un gioco riuscito; e chiede implicitamente a noi lettori di guardare alla sua performance testuale inforcando gli occhiali di un lettore-spettatore di un gioco giocato, di un game che ha la forma espositiva apparente di un play (93)
Insomma chi cerca lo sviluppo dei pensieri di Platone deve mettere da parte non solo lo schema seriale di giustapposizione di dottrine, ma anche quello di superamento organico secondo una linea interna ascensiva dal più semplice al più complesso, da un livello inferiore ad uno superiore.
Leggi , ad esempio, non è più complesso e né costituisce un ‘superamento’ dell’Ippia minore o dello Ione solo perché dal punto di vista redazionale risulta definito cronologicamente dopo di essi (94)
Se si continua a leggere con questi pregiudizio è impossibile tra l’altro stabilire un rapporto problematico-tematico intimo ed una relazione omogenea – dal punto di vista funzionale e costruttivo- tra Apologia di Socrate e quell’ultima opera, dove Socrate scompare definitivamente, lasciando il posto sulla scena della scrittura all’ “Ateniese” rifondatore e teorico di un nuovo spirito costituzionale.
Ed allora come bisogna concepire l’idea di progresso –evoluzione quando si procede a ricostruire i contenuti concettuali dell’ opus platonicum ?
Mettendo da parte appunto questi schemi propri di una tradizionale ottica dottrinaria e facendo valere una visione morfologica e sincronico-diacronica del complesso dei dialoghi.
Questa scelta prospettica di osservazione dei tracciati e ambiti testuali implica che, nel cercare i rapporti tra essi, dobbiamo utilizzare parametri morfologici come quelli dell’isomorfismo, della simmetria, della ricorsività, dell’olismo, dell’ invariante in variazioni, delle proporzioni. (95).
Perciò, ritengo che la metafora più rivelativa dell’ordine dialogico che Platone ci mette sotto gli occhi senza mai illustrarlo nel suo complesso sia quella di un sistema planetario con due soli : Repubblica e Leggi.
Ed il richiamo alla cosmologia trova una sua giustificazione nel fatto che la ricerca geometrico-matematica greca – che come ho detto Platone tiene costantemente sullo sfondo della sua Meta/Odissea- avviene in un contesto in cui lo sguardo verso il cielo stellato apre ad un orizzonte di indagine astronomica geometricamente orientata, secondo lo spirito proprio della tradizione pitagorica.
L’insieme dei dialoghi è costituito ,dunque, da una pluralità di ‘discorsi cosmicizzati’/logoi-kosmoi che sono giochi seri- cognitivi.immaginarivi e linguistici-
caratterizzati da una ‘somiglianza di famiglia’(96), dentro un ambiente fuzionale di natura metalogica analogica, ed in quel mondo di vita che è l’agire comunicativo. in una città a spettacolarità spinta , intorno ai principi ed ai valori e,soprattutto, intorno al desiderio ed all’idea di giustizia e di felicità.
E,perciò, il lettore adatto non pretende da testi, generati da questo tipo di logica costruttiva, che essi rispondano a domande di un modo di lettura che non si muove ed orienta in conformità a quel tipo; il lettore adatto non si lascia condizionare e fuorviare dalle esigenze proprie di un moderno storico delle idee e della filosofia o comunque di una ottica di ricerca interessata a dare a ciascun filosofo un posto ed una funzione in una ricerca continua , cumulativa e progressiva,, così come sembra fare l’ Aristotele del primo abbozzo di ‘storia di filosofia ‘; un Aristotele che tanto piace ad Hegel ed in generale all’idealismo che a questi si ispira. (97)
12. Contro la “teatrocrazia” con una scrittura teatralizzante e spettacolare
Bisogna ,dunque, considerare come presupposto necessario della interpretazione del dialogo la “ comprensione della sua forma letteraria” (98); e quale sia effettivamente questa forma e come essa , funzionalmente in sede di lettura, deve essere fatta rifluire in vista della messa in luce del movimento e delle strutture concettuali platonici, costituiscono questioni tutt’altro che già risolte.
Naturalmente l’ ipotesi sulla ‘forma letteraria’ degli scritti platonici che qui pongo , dà luogo ad un problema che sembrerebbe insormontabile : come è possibile che Platone ‘nemico’ della poesia teatralizzata e della “teatrocrazia” sia nello stesso tempo il Platone che di fatto ed implicitamente ricorre ed usa analogicamente le regole della comunicazione spettacolare e teatrale per esporre le sue teorie filosofiche e la idea stessa di discorso filosofico ? (99) .
Per venire a capo di questo centrale paradosso e connesso fondamentale imbarazzo, bisogna ricordare e valorizzare al massimo quella che è l’epocale scoperta platonica : quella del ‘fenomeno’ dii logoi strani , invasivi e pervasivi, che si danno e appaiono nei flussi , nelle correnti, nel moto ondoso,acquatico, delle performances della comunicazione sociale, soprattutto quando essa riguarda la visione di ciò che è bene o male, vero o falso, bello e brutto, utile e dannoso, nella vita della città.
Dunque, il mondo dei discorsi su i principi, sui i valori, - così come esso viene ad essere e manifestarsi nell’ ‘azione comunicativa’- è quello dove Platone situa il suo fare filosofia, servendosi di quel che è pure un mass-medium, cioè la scrittura.
A spingere,Platone verso una imitazione analogica di elementi strutturali della comunicazione drammaturgica, così come praticata e teorizzata nel suo tempo, è, pertanto, la consapevolezza che nella sua pratica e nella estensione di questa pratica accade qualcosa di funzionalmente diverso da quanto è esperibile in una ricerca dottrinaria, ed in una discussione strettamente tecnico-epistemica, accademica.
Di questa differenza funzionale, cognitivo –immaginativo-linguistica, partecipano- come sopra ho anticipato- i logoi ricorrenti del modo di produzione sofistico-menzognero dei discorsi sulle “Cose Massime”/ta meghista , “Più Importanti”/ta timiotera. (100)
Se, pertanto, la filosofia come filosofare insieme in città, decide di andare alla caccia degli illudenti e lusinganti logoi menzogneri, essa deve andarli a cercare lì dove essi si trovano ed operano, vale a dire nell’elemento funzionale in cui ‘nuotano’ e si mostrano : tale Elemento è appunto quello delle ‘azioni comunicative efficaci’, così come sono esperibili nella ‘città dello spettacolo’, nella ‘città del teatro’.
E’ ,dunque, la sua vocazione di ‘parola liberatrice e purificatrice’ e la sua missione di ‘parola polemica’, cioè di presa di posizione e di lotta contro quel sofisma, ad esigere che la filosofia vada oltre ed esca fuori dallo stile , dalla visione e dal modo dottrinario di trattare i discorsi.
E’ nello spazio-tempo ,dunque, dei logoi spettacolarizzati, dei ‘talk-schow’, che abita e vive la Odissea Dià/logica; da qui l’importanza fondamentale in Platone della sua attenzione verso la poesia e verso la tecnica della comunicazione ‘al pubblico’ finalizzata a convincerlo ed a conquistare la sua adesione ad un messaggio su i valori di vita o presunti tali, in contesti educativi e/o di propaganda politica.
In questa prospettiva va ,dunque, letta la polemica sia contro la poesia teatralizzata e la retorica , e sia contro la stessa scrittura. (101).
Quale sia l’effettivo bersaglio di questo Platone passato nella comune opinione di lettori e di molti esperti, come nemico del teatro in sè, della retorica in sè e della scrittura in sé, lo mostrerò nel corso della ricerca che qui sto illustrando da un punto di vista generale, focalizzando la questione del rapporto tra filosofia e manipolazione dell’opinione pubblica, così come, nei suoi modi ed effetti, si fa vedere particolarmente nella coscienza degli intellettuali.
Il paradosso ,dunque, di una critica della comunicazione pubblica a mezzo della poesia teatralizzata mediante la produzione di un modo di discorso che a sua volta simula analogicamente . nel suo impianto costruttivo-funzionale-espressivo. quello caratteristico della drammaturgia attica, è determinato da una decisione rigorosamente coerente con la strategia teorica platonica; e,pertanto, quel paradosso (102) non costituisce una contraddizione ‘in re’, tra un dichiarare contro la poesia teatralizzate ed il suo fare testuale che ,in una implicita trasposizione funzionale metalinguistica e metapoetica, la imita in alcuni suoi essenziali meccanismi costruttivo-espressivi.
Ad ulteriore forte conferma che la teorizzazione platonica non si comprende nella sua matrice, nel suo scopo metodico e nella sua destinazione finale, fuori dalla sua originaria ed originale immersione nelle performances della comunicazione sociale nella città ‘dove tutto fa spettacolo’, c’è una costante intenzione nell’ultima opera, Leggi, già presente anche in Repubblica.
Qui ragionare, dimostrare, falsificare sono tutt’uno con un esortare , con un invitare, con un consigliare; vale dire con modi mentali, atteggiamenti linguistici, tonalità emotive proprie di un dire e pensare che puntano a persuadere , a convincere; e che,quindi, esigono una iniziativa, una scelta, un autodeterminarsi nella accettare e condividere una idea che chiama in causa una questione centrale della vita in città : come armonizzare il principio di autorità/ kratos e quello di una azione intelligente/nous per la realizzazione di quel ben-essere di tutti che è l’EssereCittà/politeia. E tutto avviene in una synousia/con-essere data ancora una volta in una rappresentazione spettacolare : un pellegrinaggio di tre ‘padri costittuenti’ verso la monatgna sacra di Dio Legislatore. (102)
Ora perché e come in Platone l’invito ad Autoeducarsi ed ad un Educarsi insieme/paideia ( 103) ed il suo appello a saper fare scelte, frutto di convinzione e che ha bisogno di discorsi-proemi , si intreccia nel profondo con un discorso che comunque intende essere vera ed autentica teoria, coè dimostrazione, opinione vera giustificata ?
E si potrebbe dire : come in Platone un rinato,purificato ed autentico fare-retorico si combina e si omogeneizza con un originalissimo fare-logico ? (103)
Questa ulteriore e fondamentale questione può essere esaminata se fin dall’inizio ci rendiamo conto che Platone non solo elabora precisi,complessi ed originali contenuti filosofici relativi alla visione della natura dell’eros, delle idee, della politica, della esperienza morale e mistico-religiosa, ma trasforma ed innova la stessa concezione del fare teoria e teoria filosofica in particolare; ed essa non è riducibile a quel modo di elaborazione speculativa che si manifesta nella forma-trattato.
13. Platone è un Proteo : egli sfugge alla presa di una logica tutta o prevalentemente dottrinaria.
La prova indiretta di questa eccezionalità platonica, rispetto a tutta la tradizione filosofica post- platonica , è data dalla registrazione di una costante difficoltà da parte di tutti i vari modi della ricezione della eredità platonica, di tenere insieme ‘tutto Platone’, quando si leggono i suoi scritti con l’ottica dottrinaria propria delle diverse discipline in cui normalmente viene scomposta la filosofia istituzionale ed accademica.
Chi guarda verso l’opera scritta platonica attraverso questo paradigma funzionale, ben sa quanto, ad esempio, sia difficile far interpenetrare la cosiddetta dottrina delle idee con la cosiddetta dottrina politica, e quanto sia arduo coniugare insieme la sua cosiddetta dottrina ontologica, su i primi principi, con la sua cosiddetta dottrina del linguaggio. Per non parlare, poi, del problema di rendere compatibili sostanzialmente il parlare per miti e metafore e l’argomentare per via deduttiva ed induttiva in procedimenti inferenziali che pretendono essere puri e rigorosi.
Ma questo Platone Proteo che sfugge alla presa delle filosofie specialistiche con le loro ripartizioni disciplinari e con la loro posizione di una radicale incompatibilità tra logos al mytos, tra concetto rigoroso e metafora, tra logica e retorica, prova con questa sua inafferrabilità che questo modo antico , medievale , moderno e contemporaneo di leggere ed interpretare i suoi testi è inadeguato e non conforme alla sua matrice funzionale, cognitivo-immaginativo-linguistica (105).
Naturalmente credere di uscire da questa difficoltà di riconoscere tutto Platone, nella sua unità tematico-problematica, ed ancor prima nella sua coerenza funzionale, dicendo che ‘Plato nondum maturus est’ per una impresa di speculazione sistematica, pura e senza miti, è solo una scappatoia comica di fronte ad filosofo che ha avuto una parte essenziale nella formazione e sistemazione della logica geometrico-matematica che troverà il suo peferzionamento formale negli Elementi di Euclide(105).
Per fronteggiare questa stranezza platonica qui rischio una scelta..
Questa scelta, in primo luogo, esige da me e da quanti condividono con me questa strada, di osare mettere in discussione il platonismo stesso – o meglio i platonismi- cioè i modi che dopo Platone si sono imposti come dominanti paradigmi di osservazione del testo e di riconoscimento dei suoi contenuti teorici.
Questi modi di interpretazione hanno un implicito denominatore comune: quella visione culturale che fa coincidere per intero i valori di teoria con la concettualizzazione data per riflessività e per dichiarazioni dottrinarie.
Questo pregiudizio ha prodotto una immane storia degli effetti, cioè una determinata maniera di recepire ed intendere il Platone teorico; maniera che ha avuto ed ha una enorme influenza dentro e fuori delle Università; essa si fa forza di una sterminata letteratura che ha imposto di fatto una serie di immagini di Platone in concorrenza e rivalità reciproca così in componibili da sfociare in un generale dissacordo su ciò che l’autore dei dialoghi ha veramente pensato e detto.
Si può ,perciò, comprendere perché la accusa di temerarietà e di stravaganza possa abbattersi su chi mette in discussione questo consolidato orientamento millenario della scienza normale così come prende ancora corpo in vasti ed accreditati studi su Platone.
Ma qui con questo lavoro non cerco di fare altro che allestire una rete che ,calata sul testo, mi permetta di valorizzarlo al massimo possibile della sua superficie testuale in vista di una ripresa ricostruttiva del Platone teorico nel ricco intreccio di prospettive – che oggi diremmo, ma impropriamente rispetto a Platone, sguardo
interdisciplinare-; complessità e poliedricità che sono di solito riconosciute a lui, ma che poi non sono pensate nella loro intrinseca condizione di possibilità come facce diverse di un pensiero rigoroso, coerente, unitario, funzionalmente omogeneo ed in equilibrio, rispondente ad una precisa strategia narrativa e teorica da Apologia di Socrate a Leggi.
Negare al fondatore della filosofia questa qualità strategica di fondo della sua ‘Odissea’ significa rendere impraticabile una introduzione da lettori adatti al capolavoro che ancora ci sfida come universo e multi-verso di logoi, pieno di enigmi e di ‘materia oscura’, pur nella sua configurazione di brillante ghirlanda di una pluralità di logoi-kosmoi., secondo un principio costruttivo-funzionale che non è quello della riflessità pura e delle dichiarazioni concettuali ; e di cui osserveremo le ‘regolarità’ nel ‘moto espositivo e concettuale’ registrato in un complesso di ‘corpi testuali’.
Ma decidendo di riconoscere a Platone una precisa e rigorosa generale strategia teorica, sto prima della discussione sul problema del Platone autore di un sistema aperto o chiuso o di un suo approccio sistematico ed addirittura antisistematico alle questioni massime e di interesse fondamentale per l’uomo ed il cittadino.
Platone,infatti, ci obbliga a fare un passo indietro rispetto a questa discussione, recentemente riaperta dalla vasta opera di M. Migliori; questo arretramento ci conduce a mettere in questione la visione dottrinaria della idea di sistema ed a ripensare come il principio sistemico viene realizzato dentro un pensare ed un esporre che nascono e si svolgono prevalentemente secondo il principio funzionale di un gioco giocato, di una logizzazione implicita, di un fare di concettualizzazione.
Ed è questo primato funzionale-costruttivo di una logizzazione e semantizzazione implicita a decidere del posto, del ruolo, del senso effettivo di ciò che appare al lettore standard come dichiarazione teorica e movenza di tipo dottrinario.
Tener conto dell’intreccio tra questi due modi funzionali-costruttivi , gerarchicamente
ordinati, ripetendo e riproducendo ,con la massa aderenza ed approssimazione possibili , le mosse figurate, ordinate ed organizzate in blocchi di sequenze, del gioco giocato da Platone, è avviarsi sulla giusta strada per riconoscere che cosa egli pensa come pensa il senso della vità in città, quali sono i contenuti positivi della sua filosofia e qual è la sua idea di essa.
Sarebbe molto strano giungere alla conclusione che Platone non avrebbe una sua chiara,coerente, e definita filosofia; e che avrebbe agitato molti , acuti e complessi problemi senza ,però, risolverli con i suoi esercizi scritti, al punto da lasciare il suo lettore indeciso tra una valutazione di inconcluso, di ‘opera aperta’, e l’impressione di inconcludenza, di un fallimento teorico.
Al contrario di quanto ritiene M. Migliori sostengo che in ogni dialogo Platone risolve il suo problema e mi accingo a provarlo con il mio esperimento ermeneutico-teoretico sul Teeteto, dentro uno sguardo su tutto il Platone scritto e non trascurando la problematica implicita nel ‘ fatto’ del Platone Orale, documentato dalla tradizione indiretta.
Naturalmente il principio del gioco, che pure è tanto valorizzato da M. Migliori, deve essere applicato già quando si procede ad identificare e qualificare la forma ed i termini del problema-guida che impulsa ed orienta la ‘partita’, l’esercizio di falsificazione così come accade nell’intero perimetro testuale, al quale appartiene in maniera essenziale anche il titolo dell’opera.
14. La necessità di una commutazione funzionale del codice di riconoscimento ed il sofisma come l’errore speciale che la filosofia programmaticamente combatte.
Quale è allora il primo passo da fare per non mancare fin dal primo approccio l’entrata nel mondo testuale platonico ?
Innazitutto- come ho già detto- dobbiamo cambiare e funzionalemente convertire il consueto e normale modo di osservazione dei suoi testi quando cerchiamo in essi i ‘luoghi’ della teoria.(106)
E,perciò , dobbiamo assumere il principio del gioco giocato (107) come paradigma funzionale fondamentale per procedere al riconoscimento del Platone Teorico, dove la immaginazione logica ha una parte centrale, sia nel momento di formazione dei modelli concettuali, sia nel loro uso come criteri di dimostrazione per falsificazione.
Questa scoperta e valorizzazione del mondo – solo apparentemente intermedio (108)- della immaginazione logica è strettamente connessa alla natura ‘sui generis ’, e a suo modo strana, di quell’errore che caratterizza il modo di produzione sofistico dei discorsi sulle “Cose Massime”.
Questo errore, infatti, opera impiegando surrettiziamente e subdolamente pseudo-modelli di ciò che è proprio delle essenza e dei risultati più notevoli della indagine tecnico-scientifica, e delle stesse condotte del senso e delle pratiche linguistiche spontanee della comunicazione quotidiana.
Questi pseudo-modelli sono infarciti e si travestono di pseudo-cultura e di pseudo-buon senso comune; come tali costituiscono una corruzione della immaginazione logica : Platone chiama, nel Sofista i loro caratteristici prodotti |simulacri|-phasma, e li separa nettamente dal processo di produzione di immagini a mezzo del discorso . (107)
Come tali essi non sono immagini logiche alternative, concorrenti, in opposizione ad altre immagini logiche rivali; e,perciò. non stanno in rapporto antinomico con queste. L’antinomia,infatti, implica il conflitto tra nomoi/leggi, tra paradigmi e megaparadigmi come è visibile nell’ esercizio/ghymasia del Parmenide.
Ma il dispositivo di sofisma-menzogna non è una legge, né un modo paradigmatico che come presunta legge si opporrebbe a quella della verità e della veracità.
Esso ,infatti, si serve di pseudo-leggi, pseudo-paradigmi e li spaccia come autentici e come i più importanti per la vita della città. Il sofisma è un pseudonomos.
La filosofia non supera il sofisma nel senso tecnico della nozione di superamento, cioè come conservazione e soppressione in un passaggio superiore di grado e di livello logico –ontologico, e così assimilandolo e metabolizzandolo in sé e così dando luogo ad uno sviluppo positivo determinato.
In nessun modo ed in nessun senso è possibile una conciliazione tra filosofia e sofisma; e neppure una costante tensione reciproca come tra termini che concorrono a tenere in piedi e viva la razionalità e la realtà di una relazione.(106)
Il sofisma come ciò che è costruito su una peudo-immagine della essenza dei valori scientifici e morali, è il prodotto di una calcolata falsa-imitazione/doxomimesis; smascherarla in questa sua apparenza di valore cognitivo,immaginativo, linguistico, significa portare alla luce la sua inconsistenza come cognizione,immaginazione e linguaggio; ed il suo essere semplice ‘istrumentum regni’ – arcana imperii, espedienti sofisticati di dominio attraverso la ben congegnata manipolazione della opinione dei cittadini.
Tutto questo Platone lo dice non per dichiarazioni dottrinarie appunto, ma attraverso le mosse/passi, le figure, le figurazioni e le configurazioni del gioco discorsivo-argomentativo, attraverso la sua discorvizzAzione di paradigmatizzazione e di correlata e conseguente falsificazione : attraverso il rivelarsi della sua “cosa” nel suo stesso farsi progressivo. che mostra da sé il piano cognitivo-linguistico che istituisce ed il fine della sua attività di discorvizzazione.(107)
Può, pertanto, vedere questo Platone all’opera di un mirato denudamento della pseudo-cultura di cui la menzogna ha bisogno di ammantarsi, solo il lettore che sa essere un lettore/spettatore-cooperatore che rifa , rispettando tutto il testo, il percorso del gioco giocato platonico.
E si tratta – come è evidente- di un gioco estremamente serio e con validi risultati teorici e adeguata soluzione di problemi( 108) ; problemi – ed è questo un momento essenziale dell’approccio interpretativo- che essi stessi nei loro esatti termini devono essere identificati, facendo valere una lettura cooperativa secondo questo principio funzionale di riconoscimento.
15. Il compito minimo e difficile del filosofare insieme in città.
Se ci avvaliamo di questo filo conduttore per orientarci nel labirinto ( 109) platonico e così per aprirci un varco nella sua marcata dimensione enigmatica- che richiama espedienti costruttivi ed di trasmissione del messaggio rinvenibili nel ‘romanzo giallo’ e nel meccanismo della sorpresa proprio della grammatica teatrale’(110)-, ci renderemo conto che Platone instaura una originale ‘metafisica’ intrecciata , con un’ altrettanto unica, logica-dialettica.
Essa implica una metalogica, metaparadigmatica e analogica, che nel suo farsi sta in stretta connessione con il suo scopo metodico principale: questo è una attività di ‘emendatio’, di purificazione degli abusi di una metaimmaginazione logica ‘maltemperata’ e smisurata, che utilizza pseudo-metaparadigmi; e,perciò, essa è narcotizzante, illusoria e corruttrice, fino al punto d inebriarci facendosi sentire dèi, mentre siamo solo poveri uomini che il divino si diverte a rendere ridicoli; e ciò soprattutto accade, quando senza e contro Dio questi poveri uomini si sentono , si vogliono , si immaginano, si pensano, immortali dentro la presunta immortalità della storia dell’umano (111).
E questo Platone – noto di passaggio- parla anche ai promotori e sostenitori della
trionfante visione di una vita eterma dell’umano solo per mezzo dell’umano che si propaganda ancora - pur nel rovescio della deriva nichilistica del post-moderno e del post-umanismo (112)- come la grande conquista culturale e fillosofica della modernità e come essenza della auto- rivelazione della modernità a se stessa; ma essa è solo una devastante ed a tutt’oggi persistente e diffusa allucinazione, pubblicizzata come verità della vita storica; è solo,invece, un simulacro di essa, e come tale una versione modernizzata del sofisma, che è forza distruttiva del male nella cognizione,nella immaginazione e nel linguaggio.(113)
Ed allora a che serve la filosofia ? Perché il suo fondatore e rifondatore, il “divino Platone”, “ il principe dei filosofi politici” (114) , deve rimanere ancora con noi in quell’ora in cui essa sembra agonizzare fino a tramontare per sempre come rigoroso sapere a vantaggio dell’uomo e del cittadino in un modo di vita ?
La filosofia, alla quale è stato rimproverato di limitarsi a contemplare e rispecchiare il mondo senza essere capace di trasformarlo in meglio, con Platone ed in Platone si confessa e si riconosce nel suo radicale limite di sapere fare una piccola cosa nel mondo reale; questo minimum –che è difficile a farsi e che essa solo sa fare tra i molti e vari saperi- è il suo saper dimostrare che volontà e pratiche di dominio dell’uomo sull’uomo potranno pur prevalere di fatto per sempre nella storia umana, ma non potranno mai dimostrare che “il giusto come l’utile del più forte” abbia valore di principio,valore , di idea, di misura e di legge dentro l’universo della mente umana : dentro la cognizione, l’immaginazione logica, dentro il linguaggio.
Sofisma nel suo esaltarsi come Menzogna non può mai assurgere a verità, a veracità, a principio logico-cosmico. Esso neppure può essere equiparato al caos ; sofisticare è un mentire anche in questo , cioè nello spacciare la pura attività distruttrice come superiore energia costruttiva : non solo in tal modo il sofisma assolutizza il principio del kaos e lo separa dalla sua costante interazione con il principio del kosmos , ma appunto pubblicizza ciò chè è di fatto immagine deformata dello stesso kaos come nuova ed ottima visione del kosmos. (115).
La filosofia mostra il sofisma come ‘incosistenza’ logico-cosmica ; in questo opera incessante di dimostrazione, che è poì attività di falsificazione e di smascheramento, la filosofia si sente impegnata a servizio della vita comunicante della città in cammino verso l’EssereCittà/Politeia, verso il “sogno” della comunione/koinonia, Kratos ed Ethos, tra vita politica statale-istiuzionale, economico- sociale, e vita morale, dove le opere di giustizia, come bene comune e costituzionale, vivono costantemente come lotta di liberazione dal dominio e dal dominio dei ricchi che affamano le moltitudini.
Un dominio, radicato ed alimentato da “libido dominandi”, che non può fare a meno per imporsi della voglia di occupare anche il ‘mondo della contemplazione’, cioè il mondo della immaginazione sensibile, emotiva,discorsiva, logica , simbolica e, quindi, di spacciare le sue false immagini della vita umana e cosmica come veri ‘specchi’, corretti ‘specula’, fedele visione, rigorosa teoria, illuminante rivelazione.
Platone per primo e raggiungendo la massima altezza , complessità e profondità di sguardo, ci ha messo sotto gli occhi la segreta e penetrante potenza della immaginazione e della sua vitalità proteiforme ed iridescente , soprattutto quando essa si combina con la comunicazione-informazione- educazione spettacolarizzata.
Quella lotta per l’egemonia nel mondo delle immagini, che egli colse intensificata al massimo e terribilmente degenerata in ciò che egli chiamò “teatrocrazia”, oggi la potremmo vedere per analogia nella imperversare della televideo-crazia (115) globalizzata spesso a servizio della macchina della manipolazione dell’opinione pubblica.
La filosofia, che con Platone conquista il suo originale ‘metaspazio’ nella sfera della immaginazione logica, non pretende di rivaleggiare e di vincere la battaglia sul terreno della ricchezza, efficienza ed efficacia nella produzione e trasmissione di immagini, né può impedire per sempre che il territorio che essa custodisce e governa sia invaso da ciò che oggi chiameremmo prodotti paraculturali pseudo-artistici e pseudo-scientifici della ideologia, spettacolarizzata , e che con il Platone del Sofista potremmo denominare i “simulacri” /phasma della fantasmalogia della “dossomimetica” ,impregnata di meccanismi lusinganti-illudenti, adescanti, allucinogeni, seduttori ed ingannatori.
La filosofia scende in campo quando i corrotti e corruttori sogni della ideologia (116), -che proclama e propaganda, con le sue performances con mezzi di comunicazione sociale il presunto primato razionale e reale delle pratiche di dominio -, pretendono di valere come cultura, scienza, come ideale educativo,politico e morale.; come forme-idee svelatrici del senso e della sostanza della vita in città , dell’ordine terrestre e cosmico.
Come Platone ribadisce espressamente nella conclusione della sua ultima opera- Leggi (117)- la filosofia non si vergogna a sua volta di sognare contro quei ‘cattivi sogni’ dei sognatori di una Terra in mano, e per sempre , dei più forti,dei più violenti, degli insaziabili dominatori : adoratori di quelle false dee – che con il sapiente cretese Epimenide, consigliere politico e guida spirituale di Solone,- possiamo richiamare Tracotanza e Svergognatezza. (118)
Infatti,- oggi più che mai- sognare facendo filosofia, progettarsi per l’EssereCittà nello spirito del si può e si deve vivere meglio, è impossibile senza prendere posizione, resistere ed opporsi, con le condotte di vita e la attività della mente, alle umane forze distruttive della bellezza , della cosmicità, della sacralità e santità dell’umano e della nostra Grande Madre-Terra.
Per tutto ciò nel suo stesso codice genetico, nel suo inizio, filosofia è Apologia dellla Filosofia ‘in persona Socratis che risorge drammaticamente nell’ “Ateniese” : non c’è filosofare senza scegliere di seguirlo ed imitarlo nel suo ‘spirito risorgente’ di uomo-cittadino che amò la giustizia fino ad offrire la sua vita per testimoniarla come bene comune, senza il quale la vita in città non è vita degna di essere vissuta ma solo una rissa infinita alimentata dalla guerra di tutti contro tutti, dalla voglia generalizzata di autodistruggerci.
Con Platone ed in Platone ora concludo così : dire che |philosophia| significa |desiderio-amore di sapienza | e fermarsi a questa equivalenza dottrinaria senza farla rifluire nel suo ambiente originario, cioè nei processi di una comunicazione pubblica storicizzata, è rendersi disponibili ed indifesi per lasciarsi incantesimare da un equivoco; quello per il quale sapienza sarebbe il saper imporre anche com mezzi violenti la propria volontà ed i propri interessi agli altri; e che il philein desiderare -amare sarebbe armonizzabile con lo sfruttamento ingordo ed il piacere di dominare e di uccidere altri esseri umani.
Questa degenerazione e corruzione profonda dello spirito sociale che infetta i significati radicali stessi della parola |philosophia| non costituiscono una ipotesi astratta ed inverosimile, una artificiosa previsione di ‘scuola’, perché Platone le ha scoperte per primo come male-fatto ricorrente nella esperienza della vita comunicante della città spettacolarizzata.
E’ questa la città dove il Socrate ha preso posizione e lotta per la verità della giustizia, per una religiosità dove il divino sia considerato fonte di bene e non come autorizzazione all’arbitrio ed alla violenza; e dove Socrate è impegnato a promuovere una educazione dei giovani ispirata dai valori della amicizia e della dedizione alla difesa e promozione della Costituzione: e questa città è la stessa dove questo Socrate è stato accusato e portato in tribunale per essere condannato come menzognero,impostore, apostata, corruttore dei giovani.
Dallo spettacolo del trionfo di questa mancanza del senso della vergogna e del capovolgimento distruttivo dei valori nasce, dunque, in Platone il bisogno di una altra filosofia, di un altro pensare e comunicare.
(...)
(...)
Conclusione
Platone nell’epoca della “plutonomia” globale
Che cosa ho voluto proporre con questo mio lungo discorso ai cultori ed agli appassionati di cose filosofiche ed in generale a chi si sente e vuole iniziare e sforzarsi di essere un ‘buon cittadino ‘ già nel resistere ed opporsi alla comunicazione pubblica menzognera che spaccia per virtù i vizi, i delinquenti per cittadini esemplari, l’interesse egoistico, di corporazione, di casta come interesse di tutto il popolo, il fanatismo e l’autoritarismo in cose di religione come ciò che sarebbe autorizzato, voluto da Dio stesso: le pratiche di anti-Stato come fedeltà allo Stato, la irresponsabilità nella gestione del potere come un prendersi cura della vita dei cittadini.
E che impone il brutto come bello solo perché il brutto ha successo ,e come regola elementare di comunicazione quella di mentire ancora prima di aprire bocca, e di provocare risse ancora prima di scambiarsi un saluto sincero, chiamando le risse prove di amicizia.
La proposta ed il consiglio sono quelli di tornare a Platone, seguendolo ed inseguendolo il più possibile nel vasto campo delle sue tracce scritte , per ‘ripeterlo’ nella pluralità dei suoi giochi cognitivo-immaginativo-linguistici, in vista della comprensione e soluzione di un problema che appartiene, nel suo nucleo, anche all’oggi della vita in città e cd a tutti da vicino, perché chiama in causa il desiderio di giustizia e di felicità.
Tale problema generale lo riformulo così: è proprio vero che necessariamente debba essere una minoranza di potenti e di supericchi a decidere sulla condizioni di vita della moltitudini di individui che abitano le città di questa Terra ?
Dicendo | è proprio vero ? | mi riferisco a tutti quei modi ai quali questa minoranza organizzata, -che è oggi l’internazionale dell’ imperialismo finanziario globale senza Costituzione e contro le Costituzioni - , deve ricorrere per persuaderci e convincerci, che non ci sarebbe alcuna ragionevole alternativa migliore a questo stato del mondo, dove pochi famelici e cinici creditori hanno creato ed asservito a sé una massa sterminata di debitori.
Il partito mondiale della minoranza organizzata dei più forti, della pretesa suprema legge della ricchezza – della, ‘internazionale finanziaria, della “plutonomia”- non contento di imporre di fatto i suoi interessi economico-sociali di parte che danneggiano quelli delle comunità, pretende anche di avere ragione e di dire la verità.
Esso, perciò, si organizza perché il mondo della comunicazione sociale e della informazione pubblica sia penetrato continuamente e profondamente dalla sua visione di città della Terra, secondo la quale ‘per natura’ o per patto o per una presunta legge della vita storica, l’umanità dovrebbe essere fatta di un minoranza di ricchi che dominano e sfruttano la maggioranza dei poveri.
Esso invita alla rassegnazione in nome di questa pretesa fondamentale verità della universale condizione umana., e così promuove parole , immagini ed opinioni adatte e capaci di farla accettare in quanto tale soprattutto dai giovani.
Platone cittadino-filosofo, la filosofia scritta di Platone, nascono, vengono alla luce proprio nella decisione, nella scelta di una presa posizione contro la pretesa di giustificare culturalmente, ‘scientificamente’, i fatti di dominio trasformandoli anche in valori di razionalità, di verità , di arte, di religione, di educazione.
Perciò la filosofia platonica è eminentemente e radicalmente intrisa di politicità, cioè di interesse per la vita effettiva e concreta della città, ma dentro una vivissima coscienza di quello che la filosofia come modo determinato del discorso può fare e su quello che sola da se stessa non può fare..
Per riconoscere questa acuta sensibilità platonica verso i limiti propri del fare filosofia, sono inadeguati i vari tradizionale schemi generali con i quali si è cercata di inquadrarla .
Infatti, né il criterio aristotelico della demarcazione tra scienze teoretiche e scienze pratiche, né quello scolastico e tomista delle tre sapienze, né quelli moderni di reale e razionale, di teoria e prassi, di comprensione dialogica e di spiegazione scientifica, di scienze della natura e scienze dello spiirito, sono adeguati per identificare e qualificare dal punto di vista cognitivo-linguistico che cosa effettivamente fa Platone con la sua discorvizzazione testualizzata e come lo fa.
Per cogliere il piano funzionale in cui Platone effettivamente si muove e dove egli traccia anche i limiti interni alla sua pur epocale impresa logica, nel suo osare misurarsi con l’immane fatto del dominio dell’uomo sull’uomo, dobbiamo mettere al centro ciò che si può considerare la sua fondamentale scoperta : le pratiche di dominio hanno bisogno di sentirsi e di apparire legittimate culturalmente; e,perciò, esse cercano di abbellirsi e di rendersi credibili e psicologicamente efficaci mascherandosi con sembianze che fanno appello alla sfera dei valori etici, giuridico- politici, artistici, logico-linguistici, affettivi, tecnico-scientifici, religiosi.
E’ proprio questo bisogno di un sistematico mascheramento da parte dalle pratiche distruttive della vita cittadina e comunitaria, ad ‘impressionare’ fortemente Platone che ne scopre la potenza di condizionamento, quando le sorprende mentre permeano e plasmano i processi della comunicazione pubblica su i valori nel contesto di una città a spettacolarità diffusa e spinta, come è quella del suo tempo; il tempo della “teatrocraziia” e dove ‘tutto fa spettacolo’, come si è ampiametne fin qui illustrato.
Platone guarda alla politica attraverso la ‘fiera delle immagini’ che la politica della Pleonessia ha necessità di architettare ed allestire e ‘mandare in onda’, e dove gli operatori-attori spacciatori di questi discorsi immaginifici, di queste immagini fatti di discorsi spettacolarizzanti, sono intellettuali giovani e vecchi che o hanno tradito lo spirito costituzionale e si sono messi al servizio dei ‘signori delle guerre di rapina’o che sono stati contagiati nella loro coscienza senza accorgersene dal morbo collettivo di una visione giustificatrice della sopraffazione della ,ingiustizia, dell’egoismo e violenza sociale.
Con Platone ed in Platone, dunque, la filosofia si incontra con la politica e con la vita educativa ed etica in quel territorio dove la cattiva politica e l’anti-etica agiscono attraverso l’apparato ed i dispositivi di quelle immagini-visioni della vita umana ed associata che in sé stesse non sono effettive immagini, buoni specchi dei beni propri di una ‘città sapiente’; ma solo simulacri, falsi e deformanti specchi di ciò che a quei vari beni è proprio.
E si capisce anche a questo punto perché in Platone la relazione della filosofia al bios politico è tanto originario ed essenziale, quanto lo è il rapporto tra il filosofare ed il poiein/fare artistico : l’arte e per Platone quella regina delle arti che è la poesia teatralizzata, spettacolarizzata della sua epoca, è madre e nutrice d ai suoi fruitori-spettatori che lo spazio virtuale delle immagini coincida e sia pù effetivo del mondo reale, fino a farlo preferire ad esso.
Il mito della caverna in Repubblica, con il gioco ‘cinematografico’ delle ombre proiettate sullo schermo di una parete in un ambiente buio occupato da cittadini-spettatori incantenati (2), ribadisce con un mito a suo volta spettacolare la centralità dell’incontro-scontro in Platone tra lo statuto della imitazione, cioè della facoltà produttrici di immagini verbali e non verbali, ed il meccasismo tipico che è alla base di quei simulacri, di cui ha bisogno la comunicazione pubblica menzognera e manipolatrice della coscienza dei cittadini.
Il protagonista di questo scontro è appunto il filosofare e solo il filosofare nella misura in cui esso punta a quella dimostrazione rigorosa e finale che è costantemente un procedimento di denudamento-falsificazione della pretesa delle pratiche di dominio di valere anche come vera ed autentica cultura e valido progetto educativo del cittadino.
Questa filosofia in quanto è a suo modo un fare, non contempla passivamente, ma è, fin dal suo avvio, impegnata in un agire smontante-smascherante le false ‘metafore’
ed i capziosi e sofisticati enigmi in cui la menzogna cerca di spacciarsi come finezza,novità e complessità culturale, come ‘modernità’, come ‘supersapienza’.
Ed ora meglio possiano intendere anche perché solo , una decisione e volontà di eticità può dare avvio a questo filosofare e perché l’eticità sta dentro questa attività stessa di purificazione e di liberazione della cognizione, della immaginazione e del linguaggio dalla tirannia della menzogna che pretende trasformare il fatto del dominio in un necessario valore di vita e di verità.
Per tutto quanto fin qui in questa conclusione ho ripreso e riassunto, se ora dico che la proposta ed il consiglio di tornare a Platone si rivelano anche come una riscoperta del posto originale ed autonomo e,perciò, insostituibile del fare filosofia nelle odiene nostre città, dove imperversano le potenze mass-mediatiche e quelle dell’imperialismo finanziario nemico dei desideri di ben-essere delle moltitudini e delle comunità, non mi rendo responsabile di una corbelleria; benché sono consapevole che non pochi avranno fastidio a vedersi proporre un Platone che sta ancora con noi e dopo di noi che credevano di avergli dato definitiva e pietosa sepoltura con il mito della superiorità filosofica del moderno e della fine della metafisica., della metalogica, del metalinguaggio, della metaimmaginazione.
A questo punt o è compito, di un lettore di buona volontà ed interessato al problema fin qui tenuto in campo ed in gioco nella rilettura del Teeteto, giudicare se il lungo discorso prodotto abbia raggiunto dei risultati nuovi, utili e validi per chi cerca di vivere meglio le esperienze di comunicazione sulle cose che contano nel destino degli uomini.
Ho riletto e ripetuto , in una cooperazione interpretativa, questa opera platonica per chiarire come e perché nella over.vie/Kathorein ypsoten, nella sopra-visione poliprospettica che caratterizza funzionalmente lo sguardo della filosofia verso le varie manifestazioni della cultura, è indispensabile anche il guardare verso lo statuto della matematica-geometria , verso il mondo del numero.
A questo punto, perciò, posso tracciare le linee dove inscrivere le voci di un bilancio; e,dunque, in questa intenzione e nella speranza di essere compreso prima di essere giudicato, riassumo gli obiettivi di questo lavoro :
- Proporre ed applicare un modello di lettura del Teeteto capace di rendere conto e di illustrare l’ordine interno, semantico ed argomentativo, della maggior quantità possibile del testo relativo, facendo vedere come in questa opera la dimensione del Racconto si armonizzi intimamente con la portata teorica di questa tappa della ricerca platonica.
- Definire il posto singolare e la funzione specifica che occupa e svolge dentro la complessiva strategia narrativa e teorica realizzata da Platone con quella navigazione testuale che si è denominata |Odissea Dià/logica, e che si estende , coerentemente e in maniera omogenea dal punto di vista costruttivo –funzionale, da Apologia di Socrate a |
- Portare in primo piano le caratteriche implicite di quel modo di osservare ed intepretare il testo che è alla base della decisione della ‘scienza normale’ di considerare il Teeteto come opera aporetica, e che ,perciò , non risolverebbe il suo problema e non risponderebbe adeguatamente alla sua domanda.
- Dimostrare che il Teeteto non è un ‘opera aporetica, dentro la mia tesi generale che in Platone non esistono opere aporetiche , e che l’effetto aporetico è dipendente dal modo in cui un tipo di lettore non adatto osserva e riconosce la portata semantica e la valenza teorico del testo.
- Illustrare come Il problema che è di scena nel campo testuale del Teeteto non è in via principale un problema di epistemologia matematica e né di gnoseologia; in esso viene ,infatti, posta una questione di ‘demarcazione’ tra quella specie di fisica che è la geometria-matematica greca e la filosofia così come ideata,formata ed svolta da Platone .
- Far vedere come la linea di demarcazione-confine tra filosofia e matematica è una questione di metalogica dove a determinare il piano speciale di questa metalogtica è un ‘fenomeno’ extra-matematico, vale a dire i paradiscorsi del sofisma, che è apparente e falsa metalogica.
E,perciò, la logica del numero non può decidere della logica di quei discorsi di cui la fiosofia ,platonicamente ispirata, si occupa.Il logos del numero non è tutto il logos, né il suo organico fondamento.
- Spiegare in che senso e perché Platone - nel suo tempo, entro il suo tempo-, e il Platone di tutti i suoi scritti dialogici, non si intendono e si fraintendono, allorchè l’antico lettore e quello moderno e contemporaneo perdono di vista il contesto storico-funziionale in cui l’opera platonica si inserisce ; e,quindi, provare che anche il Teeteto deve essere immerso in tale contesto, che è quello della comunicazione sociale di una Polis a spettacolarità diffusa e spinta, dove domina come mass-medium la macchina del teatro di Stato.
Tra i miei obiettivi,dunque, c’è stato anche quello di mettere in evidenza gli effetti del meccanismo costruttivo-compositivi per i quali anche la forma del piano di esposizione del Teeteto deve esssere considerata spettacolare e teatralizzante..
- Portare alla luce un qualità di fondo delle ‘terre emerse’ in cui testualmente si condensano e si stabilizzano i signifiicati ed i contenuti concettuali della ricerca platonica, soprattutto quando essi appaiono provvisori, interrotti e omissivi, ironici ed allusivi e puramento retorico-introduttivi, ed apparentemente senza approdo.
Tale qualità, che genera e plasma anche la concettualizzazione e le strutture argomentative del Teeteto. è il fatto che – come tutte le altre isole
dell’arcipelago platonico- anche quest’opera è frutto della rivoluzione teorica
che Platone realizza innovando l’idea stessa di teoria e di teoria filosofica.
Questa traformazione fondamentale investe prima di tutto lo stesso piano
funzionale cognitivo-linguistico della produzione dei valori di teoria e della
impostazione dell’architettura argomentativo-dimostrativa;questa
traformaizone poggia sulla posizione di un ‘mondo sommerso’, di una sfera
dell’implicito e della implicitazione, che non è altro che una attività di
teorizzazione per gioco congitivo-immaginativo-linguistico giocato.
Questo ‘mondo sommerso’ appare come sottointeso-sottotesto e non
identificabile con precisione o comunque con un criterio intersoggettivamente
omologabile, quando il lettore guarda verso il testo mosso ed orientato
unicamente e prevalentemente da un modello dichiarativo e dottrinario di
teoria; e da questo modello sono condizionati in diversa misura tutti i
platonismi e gli anti-platonismi.
9)Offrire un contributo per venire a capo della questione : quale tipo e
modello d lettore Platone prevede ed esige per la sua opera ?
La mia motivata ed argomentata proposta è stata quella che pone questo lettore-adatto come Lettoree/Spettatore-Cooperatore che prova di rifare al meglio l’insieme delle mosse, delle sequenze, delle figure e delle figurazioni del gioco giocato da Platone e registrato nella sua testualizzazione determinata.
10)Mettere in evidenza che alla sua trasformazione della concezione di teoria Platone giunge, perché provocato e mosso da un problema di estrema importanza nella vita comunicante della città e che il ‘ modo accademico’, cioè dottrinario e puramente epistemico-tecnico, non è in grado di mappare,diagnosticare e di fronteggiare. Questo limite ‘naturale’,’fisiologico’ al modo dichiarativo-dottrinario di fare teoria viene messo al centro e rimarcato con nettezza proprio nel Teeteto, con riferimento alla più eccelse delle technai : la geometria-.matematica.
E proprio in quest’opera Platone fa vedere come la filosofia non solo non è contro la matematica , ma che non pùò fare a meno di essa, Grazie,infattti, ad una trasposizione analogica di un modello logico operativo della geometria-matematica , ripresa prospetticamente in un suo problema caratteristico,- quello dell’irrazionale- Platone può dimostrare che quella matematica non è tutta la conoscenza., né può costituire il fondamento del logos filosofico., né cogliere il suo problema costante d riferimento : l’antirazionale del sofisma nelle sue variopinte mutazioni,
Se ed in che misura questi dieci obiettivi siano stati raggiunti dalla mia esplorazione e ‘circumnavigazione’ dell’arcipelago – e se si vuole- del ‘sistema planetario binario’(3) – platonico,saranno i lettori adatti a deciderlo.
E sono consapevole che, pur avendo guardato situati nel Teeteto anche le altre isole , verso la pluralità dei giochi logo-cosmici platonici, dopo aver sostato a lungo in quest’opera dovrei procedere ad esplorare secondo un medesimo filo conduttore quanto resta ‘isola per isola’. Lo fatto altrove ,ma qui non c’è più spazio per raccontarlo in dettaglio.
Preciso ulteriormente soltanto che questo lavoro,. che vuole essere una introduzione nuova ed utile a tutto Platone, ha preso le mosse proprio dalla stessa idea di Introduzione, di Accesso.
Rispetto a Platone,infatti, è in questione prima di tutto il tema stesso di come introdursi per un effettivo e giusto accesso al campo delle sue tracce in vista di un ri-conoscimento a partire dal suo inizio funzionale,cognitivo-linguistico.
Certamente ogni opera platonica . proprio perché appartiene ad un complesso di tipo planetario - costituisce una porta per entrare nella sua cum-stellazione Dià/logica; noi abbiamo scelto il Teeteto ricordando la tradizione che vuole che sul portale dell’Antica Academia fosse incisa questa scritta : “Non entri chi non sia un geometra”. (4)
Al di là della attendibilità storica di questo dato ed associandolo alla noizia della tradizione indiretta su un Platone che indaga sul “Bene” parlando di matematica,- con grande disorientamento del pubblico che si aspettava un discorso su i beni della vita-,
con il mio cammino nel Teeteto mi sono misurato con una sfida che ancora oggi sta di fronte a noi nel suo nucleo costruttivo-funzionale ed in domande come queste : qual è il rapporto tra la filosofia e le scienze matematizzate ? Qual è il posto e la funzione della filosofia nell’ universo della cultura ? A che cossa essa effettivamente ‘serve’ ? Ed ,infine, : queste domande appartengono o no alla esperienza del filosofare attorno alle “Cose Massime” ?
Ora, nel congedarmi dal mio lettore, in spirito platonico “torniamo a capo” e per l’ultima volta ripeto domande già fatte.
Platone è ancora attuale ? Può essere utile per la rinascita di un filosofare come modo e “pratica” (5) di vita nelle moderne città ? Può illuminare il rapporto tra la attività della mente che opera speculazioni filosofiche e quella che si manifesta nella logica e nella tecnica matematico-geometrica ? Può aiutarci a ripens,il rapporto tra filosofia e scienze, tra filosofia e arte, tra filosofia ed etica, tra filosofia e diritto, tra filosofia e medicina,tra filosofia e teologia. ?
Platone ha ancora qualcosa da dirci su ciò che chiamiamo il problema del realismo e del relativismo ? Ha ancora valore il suo allarme sull’imperialismo mediatico che promuove la giustizia e le leggi comee l’ utile dei più forti e dei più ricchi , della plutonomia globale ?
La tentazione di usare Platone in maniera anacronistica è sempre forte; ancora più forte di essa è, tuttavia, l’abitudine culturale di utilizzare solo parte dei suoi testi o di piegarli ad una logica ricostruttiva de, suo pensiero,che danno per scontato che tutto quanto in essi si presenta come Narrazione non avrebbe rilievo decisivo nel determinare la sua intenzione teorica, e varrebbe solo come bella ed artistica cornice e come congegno solo compositivo-espressivo in funzione didattico-psicacogica-educativa, in vista della massima efficacia di effetto persuasivo sul pubblico dei lettori.
Ritornare a Platone per riscoprirne l’attualità per la filosofia del terzo millennio implica innazittuto l’obbligo- come si è detto nella Prefazione- di ritornare a leggere i suoi testi, tutti i suoi testi.
E lo dobbiamo fare - lo ribadisco- riconoscendo al genio di Platone almeno quel minimo, di cui abbiamo parlato nella “Prefazione” : vale a dire che nel decidersi a comporre tante opere egli si sia fatto orientare e guidare da una precisa e coerente strategia di composizione-esposizione, di significazione e di teorizzazione.
Certo mi rendo conto che il moderno lettore è condizionato dal pregiudizio che narrazione non sia omogeneizzabile sostanzialmente e funzionalmente con la teorizzazione; e che egli si aspetta di vedere i contenuti teorici solo lì dove essere gli appaiono dichiarati o anche solo dì dove essi sono dati nel modo di recensioni, di relazioni in occasione di conferenze, di congressi, ed elaborata in trattati, in saggi, in commentari, in manuali, in riviste, in enciclopedie.
Questo pregiudizio è reso ancora più influente dall’approccio proprio della filosofia professionalizzata ed istituzionalizzata, che rispetto a Platone si ritrova di fatto complessivamente d’accordo su un punto generale : non ci sarebbe teoria e riflessività speculativa lì dove essa non risulti testualmente data in modo esplicito, apertamente dichiarato, con manifesta intenzione di una presa di posizione dottrinaria e comunque di elaborazione-illustrazione concettuale.
Il denominatore comune a tutti diversi modelli ermeneutici che si sono misurati con i testi platonici e che è appunto oggettivamente ed operativamente condiviso dai quattro paradigmi che a tutt’ oggi più degli altri rivaleggiano tra loro –cioè quello logico-analitico, il dialogico in una ricerca continua della verità, quello che che mette al centro la dottrina delle idee e l’altro che valorizza e mette in circolo comprensivo la metafisica dottrina orale dei Principi- è appunto dato dalla condivisione di questo comune paradigma di natura funzionale per la distinzione tra ciò che è teorico e ciò che non lo è.
Tale sguardo funzionale di lettura è quello che viene utilizzato da criterio per decidere la identificazione dei luoghi testuali dove si troverebbero i problemi, le effettive domande ed i contenuti teorici platonici..
Gli intepreti che così vedono ed osservano il testo concordono tutti nello stabilire che prova-dato testuale della problematica-tematica-metodica di Platone è solo quella che fissa e veicola i suoi pensieri nel modo esplicito. Chi non rispetta questo criterio opererebbe forzature del testo, peccando di teoreticismo, finendo per violare la autentica intenzione dell’autore e rendendosi responsabile di un uso , di una strumentalizzazione dello scritto per scopi estranei e giustapposti alla problematica, alla struttura ed alla dinamica proprie dell’opera.
A gli stessi,tuttavia , manca una adeguata consapevolezza che i dati testuali sono funzioni dell’attività del leggere e del modo di riconoscimento dei significati e dei contenuti teorici; e questa mancanza si può cogliere quando si constata che di fatto da essi il problema di ciò che è teoria filosofica e non teoria viene eluso, presupponendolo scontato almeno in questo senso : teoria è riflessività, è concettualizzazione dichiarata, e dottrina, e basta.
Ora è proprio questa presupposizione relativa a questa modalità funzionale fondamentale di teorizzazione a costituire il principale ostacolo e la più importante causa di fraintendimento allorchè ci si accinge a ripetere il viaggio testuale platonico in tutte le sue tappe.
Dunque, il primo passo da fare , e che noi con quessto esperimento-ermeneutico abbiamo tentato di metter in atto in maniera sistematica e fino in fondo conseguente, è appunto quello di porre in discussione la validità di quel pregiudizio che investe ancor prima che i contenuti ed i modi di organizzazione e di svolgimento della teoria, la idea stessa di teorizzazione e della sua esposizione in Platone.
La prima domanda da farsi è allora questa : che cosa intende Platone con teoria e teoria filosofica ?
Ma già dalla ricerca di un risposta a questa domanda dobbiamo fare un passo indietro rispetto al modo corrente in cui si interpreta la stessa espressione | ciò che intende Platone|.
Infatti se noi concepiamo il significato di |intende|, di |intentio auctoris| come |dichiarazione-illustrazione| già abbiamo fatto il primo passo falso per un giusto accesso all’ambiente funzionale che costituisce il ‘liquido di coltura’ del ‘codice genetico’ che , per usare ancora una metafora teatrale,i ulteriormente spiegheremo così : chi entra nel ‘teatro dei logoi ‘, non deve aspettarsi di trovare affisso all’entrata il manifesto con il programma delle rappresentazioni; né deve chiedere il ‘libretto con riassunti, istruzioni e didascalie’ per sapere in anticipo che cosa Platone vuol dire e dimostrare con le sue opere, che mescolano in sé play e game, cioè rappresentazione di elementi tragici-comici e farseschi con esercizi su temi morali-politici-teologici e tecnici-epistemici; ed ancor meno questo lettore-spettatore deve pretendere che in anticipo o anche alla fine Platone gli offra la spiegazione del perché e del come egli ha scritto ,composto ed argomentato in quel modo così diverso rispetto allo stile di quella Accademia, da lui stesso fondata e guidata, e le cui ricerche sono in larga parte presenti e riassunte nell’ “opus aristotelicum”e, per la geometria-matematica, negli “ Elementi di Euclide.
L’intenzione di significazione e di teorizzazione,infatti, è in Platone tutt’uno con la sua Esecuzione e con il modo in cui è discorvizzata e testualizzata. E,perciò, per sapere dove sta la teoria in Platone il lettore adatto/modello deve stare attento e guardare Come Platone Fa teoria e come, quando dichiara concetti, queste dichiarazioni interagiscono con la sua ‘pratica teorica e semantica’ sia in ordine alla identificazione dell’effettivo problema in campo sia sotto il profilo della soluzione operata.
Se il lettore così comporta si mette nella condizione migliore per leggere rifacendo il fare platonico secondo i passi, i percorsi, le sequenze, registrati nella hardware della sua testualizzazione.
L’intenzione di Platone come “intentio auctoris” è,dunque, decidibile e determinabile solo all’interno degli esercizi di ripetizione del suo gioco giocato e del fatto che questo modo funzionale di generazione della significazione e della teorizzazione ha valenza fondamentale rispetto a quante testualmente emerge direttamente o indirettamente come dichiarato.
Il lettore normale,dunque, è chiamato a riconvertire funzionalmente il suo sguardo ed ad operare come un lettore/spettatore-cooperatore per la riattualizzazione per tentativi, in maniera progressiva ed euristica, e resistendo ad obiezioni prospettanti intepretazioni alternative,rivali e concorrenti, l’intero gioco cognitivo-immaginativo-linguistico giocato da Platone in ogni opera e con il complesso delle sue opere.
Questo lettore normale,cioè condizionato dalla identificazione della teorizzazione con le dichiarazioni teoriche, in realtà già opera –se pure a tratti – secondo l’ottica da me delineata .
Per esempio, quando l’interprete ,adottando il paradigma della “nuova interpretazione”, vede nel testo interruzioni dello svolgimento dell’argomentazione, omissioni, reticenze e rinvii ad una fase successiva della ricerca, e domande senza una adeguata risposta finale, problemi non risolti, li coglie e li vede non perché Platone dichiari preventivamente .contestualmente o successivamente che egli intende interrompere , omettere, non risolvere.
Platone non ‘dice’, ma opera l’omissione e l’interruzione.; e chi la riconosce e la rileva in tanto può farlo , in quanto ha cooperato con Platone, rifacendo il suo percorso e ripetendo così anche la sua interruzione ed omissione. In tal modo egli sta praticando limitatamente a questa passaggi una logica di interpretazione come ‘imitazione riproduttiva’ di un gioco giocato testualmente dato.
Ma questo interprete, che pure è attento alla dimensione di gioco serio che plasma la discorvizzazione platonica, fa valere,poi, implicitamente il pregiudizio che il modo dichiarato dottrinario in ultima istanza decide dell’assetto , della portata e del grado di valenza della teorizzazione.
Perciò, egli legge queste mosse del gioco come prove di una dottrina imperfetta ed incompleta, che non avrebbe nella scrittura il luogo della soluzione del problema, anche quando si spinge molto in avanti in direzione di essa, come accade ad esempio nel Parmenide, nel Sofista, nel Filebo, nel Politico.(6)
E questo accade come conseguenza necessaria ed inevitabile ,una volta che si interpreta sotto l’influenza del presupposto di fatto che il modo dichiarato e dottrinario sia il paradigma funzionale fondamentale per decidere ciò che è teoria e ciò che non lo è o non lo è in maniera adeguata e sufficiente; per decidere qual è il problema e per accertare e verificare se abbia avuto una soluzione oppure no.
La eccezionale novità,utilità e luminosità, del Platone Teorico stanno nel fatto che le sue omissioni-interruzionì-sospensioni- hanno la stessa funzione del paradossale (7), sono provocazioni ideate per spingere il destinatario a tentare di operare una svolta ed un riesame dell’intero gioco. Sono imprevisti, anomalie inattese, che spiazzano un certo modo di osservare il testo in ordine al riconoscimento del teorico. Ed ad essere spiazzato qui è proprio il pregiudizio che riduce il modo di produzione del concettuale al modo canonizzato da quel paradigma funzionale dell’ottica accademica.
Platone, fondatore dell’Academia, sconvolge il modo accademico di teorizzazione e di intepretazione e lo chiama ad una svolta in presenza di nuovi problemi urgenti ed emergenti all’interno della vita comunicante della città.
Platone inaugura una sfida teorica, che obbliga ad un movimento di traslazione, rotazione e di rivoluzione nella impostazione dei rapporti tra filosofia , cultura e civiltà.
L’evento-svolta è l’apparizione ed il predominio del modo sofistico-menzognero nei processi di comunicazione pubblica. Una fenomenologia nuova per estensione,profondità di influenza e per complessità dei suoi congegni.
La nuova vocazione e missione della filosofia nuova è la ‘mappatura’, la misurazione, la diagnosi smascherante della menzogna che pretende essere riconosciuta come ‘moderna sapienza’, legge fondamentale per la salvezza, conservazione e sviluppo della vita umana terrestre.
L’ambiente che fa epoca che il filosofare deve abitare è la effettiva vita comunicante della città interessata alle “Cose Massime”; dentro questo habitat si decide l’utilità e la luminosità della Logoi-metria (8) del Platone cittadino delle città dove la comunicazione sofistica a servizio delle ragioni dei potenti e penetra e devasta il sentimento e la coscienza delle moltitudini di cittadini.
La mia congettura,l’ipotesi che guida la interpretazione data in un esperimento che vorrebbe essere esemplare cioè estendibile ed applicabile anche a tutti gli altri prodotti della scrittura spettacolare e teatralizzante della Odissea logico-immaginativa-linguistica platonica, è stata messa in opera in uno spirito sperimentale.
In questo atteggiamento ho rivolto gli occhi su ciò che abbiamo chiamato cum-stellazione platonica,volendo porre in rilievo con questa variazione del termine|costellazione| questo: ciò che a noi lettori appare come una collezione di testi caratterizzati tratti comuni rilevabili in superficie e senza chiare e sufficienti esplicite indicazioni sul programma-progetto che li genera e li struttura , configurando così la loro architettonica intrinseca, costituisce un relativo ‘disordine’ che nasconde un ordine immanente. Il ‘disordine ordinato’ della testualizzazione platonica qui è stato problematizzato e tematizzato in opposizione al pregiudizio che Platone con i suoi testi porrebbe solo acute ,complesse ed estese esplorazioni di problemi senza sufficienti, adeguare soluzioni, perché la sua fondamentale preoccupazione sarebbe quella non di offrire una propria filosofia, ma di fornire una serie di esercizi per stimolare e guidare il suo lettore adatto a fare ricerca filosofica per suo conto e sotto la spinta dei suoi interessi e motivazioni culturali e di vita.
E come accade in ogni osservazione ed esplorazione mi sono dotato di strumenti di descrizione,di ‘misurazione’; questo ‘insieme interconnesso di telescopi’ l’ ho puntato su ogni ‘corpo testuale’ e sull’ ‘ammasso dei corpi testuali’ per cercare le invarianti strutturali-funzionali sia in direzione della forma del piano di esposizione, sia nella prospettiva della forma del piano della produzione del concettuale.
Questo sguardo di tipo morfologico, poliedrico e poliprospettico sul testo,realizzato proiettando su di esso nuclei dei vari modi del discorso, è imposto dalla natura complessa della assetto semantico e teorico platonico; qui,infatti, logica, psicologia,epistemologia,linguistica, medicina, geografia, poetologia, cosmologia, cosmologia, diritto , morale e teologia danno luogo in Platone ad un ‘genere misto’ di discorso, che sembra ideato apposta per far arrovellare le menti dei moderni lettori educati ed abituati a nette ripartizioni disciplinari e specialistiche, e che tutt’al più oggi sperimentano competenze e ricerche interdisciplinari.
Platone,però, spiazza anche i cultori di questo approccio oggi in voga, perché realizza con la sua stessa ‘navigazione testuale’ ed i percorsi della sua ‘Odissea Teorica’, funzioni cognitive .immaginative e linguistiche ed universi semantici non inquadrabili secondo i parametri della logica di ricerca di tipo interdisciplinare, che tra l’altro prevede intersezioni organiche tra aspetti di una pluralità e varietà di saperi.
Il ‘genere misto’ di discorso ideato e praticato da Platone implica ,invece, un passaggio funzionale di natura metaepistemica, metalogica e metalinguistica ed un procedere costantemente in ambiente analogico, e, dunque, non dialettico-organicistico o sistematico-formalistico.
Ho fatto ,dunque, anxhw mio lo spirito della scommessa di Leibniz , ma procedendo ad effettuare un passo indietro rispetto alla idea stessa di “sistema” aperto o chiuso che sia : Platone è unco proprio nel modo in cui egli ‘dice’ e ‘realizza’ il sistemico; innanzitutto perché egli lo ‘dice’ in via principale ‘facendolo’,’operandolo’,’praticandolo’, cioè nel modo proprio di una performanza teorica.
In secondo luogo la via sintetico-analitica, deduttivo-induttiva, si svolge dentro un processo di metamodellizzazione analogica, che non è normativo-prescrittiva organicamente rispetto alle varie manifestazioni della vita culturale.
I prodotti,poi, di questa metamodellizzazione non sono lo skopòs/scopo del processo di teorizzazione, ma solo criteri per effettuare operazioni di falsificazione-smascheramento degli pseudo-metamodelli che implicitamente armano la fantasmalogia che vuol convincere e pretendere di dimostrare che veramente e necessariamente la “giustizia è l’utile del più forte”.
La destinazione finale è quella propria di una ripetizione di Esercizi di Purificazione-Liberazione della terra del meta/dia-logico dalla lusinge illudenti dei simulacri della verità e della vita di cui il Sofisma si imbelletta per sedurre individui e popoli.
Questo itinerarium e ‘pellegrinaggio’ di purgazione della metacognizione,meta immaginazione,metalinguaggio è preparazione in vista di una scelta : seguire ed :imitare lo spirito di Socrate nella vita comunicante della città interessata alla giustizia ed alla felicità.
La filosofia come filosofare insieme,perciò, non nasce nella presunzione di decidere dell’essere e del non essere, del reale e dell’irreale, del razionale e dell’irrazionale, e nel progetto superbo di instaurare la ‘religione dell’umanismo , del’antropismo’’che non ‘impressiona’ Dio e che fa certamente male agli uomini, che prendendo senza saperlo la via del ridicolo s precipitano in uno spettacolo tragi-comico.
Il compito della filosoifa è,invece, circoscritto e limitato, ma solo essa è capace di affrontarlo e svolgerlo per tentativi ed errori : smascherare il Sofisma in una decisione di liberazione del metadiscorso dalla fantasmalogia fantasmagorica della paracultura che la sostiene nelle città dove tutto fa spettacolo . soprattutto la Menzogna, quella Menzogna che è più che non-pensiero ; essa come anti-pensiero,infatti, annuncia la presunta verità fondamentale della vita in città la giustizia è l’utile dei più forti e dei più ricchi. E,perciò, lavora perché l’anti-pensiero (9) e l’antilinguaggio si impongano come vero pensiero e verace linguaggio.
Ma non si intende questo compito nel suo inizio e nella sua destinazione finale, se la Odissea Dìà/logica non viene colta e gustata come lotta contro l’oblio, per impedire che i flussi nientificanti delle sua acque travolgano ed ingoiano ciò che disse , fece e patì Socrate per amore della giustizia.
Perciò questa Odissea è nello stesso tempo un sublime Memoriale di un ‘uomo divino’ che avviene ed ancora ci precede come custode dello spirito costituzionale, come educatore, come pastore e guida filosofica nella tragedia-commedia che appartiene anche alla storia dell’oggi .
Qui termina il mio libro; la mia più forte aspirazione di autore è quella di essere smentito , confutato, falsificato da altri lettorii che meglio e più di me sappiano rendere conto dell’intero campo di tracce documentali che costituiscono l’opera scritta di Platone, rifondatore della filosofia come un filosoFare nella viva comunicazione in città intorno ai principi ed ai valori, ad desiderio di Ben- Essere,
Infatti, se ciò dovesse accadere dando luogo ad una smentita convincente e ben argomentata secondo un modello ermeneutico più ‘potente’ – e mi auguro che ciò avvenga al più presto- allora significa che esso è stato attentamente ed onestamente letto per intero almeno da qualcuno che è persona diversa da me.
Nel suo venire in questo modo a buon fine, il mio lavoro effettivamente si realizza come libro, cioè come prodotto ed attività di una esperienza di comunicazione sociale, senza la quale città ed EssereCittà sono impensabili ed indicibili ed un libro stesso non avrebbe senso: sarebbe solo una vanità nella fiera delle vanità, dove nell’avvio stesso dello ‘spettacolo’ sta in primo piano quella lusingante ed illudente Menzogna che può spingerci anche a farci credere – come lo crede il Lisia del Fedro- che un libro menzognero solo perché è scrittura seduttrice e spettacolare sarebbe anche, unicamente per ciò stesso, una esperienza della verità , della saggezza, della bellezza, della sapienza.